Aspettiamo da ormai molto, troppo tempo il nuovo lavoro del brindisino Osvaldo Capraro, che con questo robusto Né padri né figli (dato alle stampe nel 2005 grazie alla certosina opera di scouting compiuta da Massimo Carlotto) contribuì a fare della Puglia il nuovo set ideale per il noir nostrano (sono infatti coevi a questo libro sia il film La terra di Rubini che i romanzi Terra Nera di Giuse Alemanno e Più a sud di Alfonso Padula, e di lì a poco Edoardo Winspeare girerà il suo Galantuomini mentre il titolare del blog, nel suo piccolo, contribuirà alla causa coi suoi pomodori-western).
La storia che imbastisce con abilità Capraro mescola odii e pulsioni ataviche di un sud sulfureo dove la Sacra Corona Unita la fa da padrona e le uniche prospettive di un lavoro (quasi) onesto risiedono nel contrabbando. Il suo è un modo davvero nuovo di trattare spazi sino ad allora sconosciuti del Meridione, delineando con chirurgica precisione le disperate esigenze di un nugolo di personaggi allo sbando (il sacerdote in primis, perso tra la passione carnale per una collaboratrice e la latitanza della propria fede). Ma il libro è anche un efficace romanzo di formazione, dove le gesta di una giovane promessa (fallita) del calcio finiscono inevitabilmente nelle strette maglie del crimine organizzato. Bella prova, bel linguaggio. Primitivo di Manduria e friselle disseminate nella narrazione a ricordarci che pure nel magma di dolore, miracolosamente, c'è spazio per le cose buone.
Né padri né figli – Osvaldo Capraro (Ed. E/o)
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