mercoledì 13 gennaio 2010

Un gatto nel cervello di Fulci...

Su Lucio Fulci terrorista dei generi sono state vergate tonnellate di parole. Geniale e scrauso in molte delle sue intuizioni, il prolifico regista romano nel 1990 diede in pasto ai suoi appassionati questo scombiccherato Un gatto nel cervello, quintessenziale trash-movie che, volenti o dolenti, resta il suo testamento artistico (in realtà tornò un'ultima volta dietro la macchina da presa prima di morire con il thrilling Le porte del silenzio). Lo stesso regista, ammettendone la pochezza, ebbe a dire di questa pellicola: «costato non più di 180 milioni. Girato in 16 mm e poi gonfiato in 35 mm. Lo montammo anche prendendo spezzoni di altri film, per esempio I Fantasmi di Sodoma, che io ho abbandonato a metà... Certo, non è un film indicativo della mia tecnica. Gli effetti speciali so' schifosi... È un'operazione sperimentale e commerciale!»
Nel film in questione Fulci interpreta un regista horror (praticamente sé stesso) preda di terribili stati di allucinazione. La violenza insita nelle proprie opere lo assilla infatti a tal punto da richiedere l'intervento di una terapia. Lo psichiatra che lo prende in cura si rivelerà però un maniaco in grado di ipnotizzare il paziente per costringerlo a compiere atroci delitti in sua vece. A seguito di questo semplice pretesto il film s'infarcisce di una sarabanda di efferatezze davvero rivoltanti. Va detto che la trama - in sé non priva di spunti interessanti - viene soffocata da un Fulci ormai senile e del tutto privo d'ispirazione. Lo splatter si spreca e gli effettacci - estrapolati a forza da altre pellicole prodotte dal regista sotto il marchio Nannerini & Lucidi - non salvano una sceneggiatura zoppicante, elementare e a tratti inesistente. Ci sono momenti di un'esilarante goffaggine (il regista con il suo golfino rosso che gigioneggia recitando come Nonna Abelarda) ed altri totalmente insensati (come le scene girate in esterno-giorno che improvvisamente sono ambientate in piena notte), ma visto con gli occhi di un affezionato dei Z-movies il film è un forziere pieno zeppo di chicche davvero memorabili (molte delle quali reperibili sul tubo). Peccato però che una simile immondizia debba essere firmata da un riconosciuto maestro della Settima Arte italica, un genio-artigiano che in passato ha saputo sfornare tanti piccoli capolavori come Non si sevizia un paperino. Prodottino destinato agli stomaci forti e agli eterni afecionados.

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