martedì 19 gennaio 2010

Rossano Astremo intervista il critico LaPorta...

Come nasce l'idea di raccogliere in un'antologia il meglio della nuova narrativa pugliese?
«Casualmente. Una telefonata estiva e un invito da parte di Agnese Manni, a cui ho risposto subito con entusiasmo. Per una serie di ragioni. Perché le mie radici sono pugliesi: un nonno paterno di San Paolo di Civitate e una nonna materna di Lucera, dalla quale si è tramandata fino a me la ricetta di polpette fatte solo di pecorino e mollica di pane e poi messe nel sugo di pomodoro. Perché mio figlio diciannovenne ha fondato un gruppo di raggamuffin e ascolta quasi solo musica di Giamaica e Salento Perché mi sono subito venuti in mente alcuni scrittori pugliesi che apprezzo molto (probabilmente la stessa cosa non sarebbe successa, poniamo, con scrittori calabresi). E in ultimo perché a 15 anni mi incantò il cinema di Carmelo Bene».
Pur nel diverso uso della lingua e nelle diverse declinazioni di contenuto presenti nelle opere degli autori antologizzati, se dovesse connotare la nuova scena letteraria pugliese con poche parole, cosa direbbe?
«Meglio di altre narrative meridionali sa raccontare la miscela di arcaico e postmoderno, di localistico e globalizzazione. È cosmopolita e autoctona. Ma nell’introduzione ho insistito molto sulla varietà: tematica, stilistica geografica, linguistica. Si tratta di modi diversi di declinare la stessa appartenenza a un Sud, dell’Italia e del mondo. Del resto in un mio saggio in Narratori di un Sud disperso, avevo già parlato del Sud come di una modalità e uno stile di vita, che non coincide necessariamente con un’area geo-politica».
Nell'antologia ci sono autori di una sola opera ed altri autori con più libri pubblicati. Cosa l'ha spinto a scegliere alcuni titoli rispetto ad altri? Ad esempio, perché Né qui né altrove di Carofiglio e non uno tra i romanzi dell'avvocato Guerrieri? Perché l'esordio di Desiati e non Il paese delle spose infelici?
«Come lei sa, il critico oltre ad avere dei doveri ha anche dei diritti. Ho seguito l’ispirazione del gusto. Credo che l’opera di Desiati non abbia più raggiunto la freschezza narrativa e la intima necessità del romanzo d’esordio. A proposito del giallo e affini non è notizia di oggi che non mi considero un devoto del genere. Amo i noir al cinema, ma quelli letterari mi sembrano macchine narrative spesso molto complicate e con scioglimenti finali di assoluta banalità oltre ad abituarci
alla idea falsa che la letteratura è solo intreccio».
Vittorio Spinazzola sull’annuario dedicato alla letteratura italiana, Tirature 2010 parla, riferendosi alle tendenze attuali della narrativa, di "nuovo realismo", citando tra gli "esponenti" di questa nuova corrente anche i pugliesi Desiati e Lagioia. Le sembra appropriata questa etichetta?
«Beh, è forse dal punto di vista letterario il tema principale di questa epoca. La fiction – ma forse l’arte in generale - in genere ha oggi il compito di raccontare la realtà nel momento in cui il mondo è divenuto un lunapark e i media ci propongono una postrealtà, spettacolare e manipolabile (che poi assomiglia alla fiction). Come si rappresenta la realtà? Certamente attraverso un artificio (la “forma”). Diceva Dante della sua opera: “Il ver ch’ha faccia di menzogna” (mentre ad es. il reality televisivo è la menzogna che ha faccia di vero!). Ma questo artificio deve funzionare, non deve dare impressione di gratutità. Tema affrontato dagli scrittori in vari modi, e con ampio ventaglio di risposte: reportage, inchieste, romanzi-verità, autobiografie narrative… Siti, Ammaniti, Saviano, forse Moresco, e poi in Puglia anche Desiati e Lagioia ma direi soprattutto Leogrande».

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