«È difficile parlare della Puglia sottraendosi interamente al suo incanto, agli odori che stordiscono, al paradiso terrestre delle dolci distese di ulivi e di grano, ai santi che volano, alle cattedrali che incorporano nelle facciate i minareti, al sapore della focaccia, al respiro di Oriente o di Africa e ai castelli fiabeschi più belli della penisola.
Tutto questo però, nella convulsa modernità (o postmodernità) di oggi convive in modo contraddittorio con economie tipiche della globalizzazione, con squilibri e nuove disuguaglianze, con una forte esposizione ai flussi migratori, con una politica spesso affaristica e clientelare, con le tortuosità verbali di una retorica avvocatesca, con patologie sociali vecchie e nuove, e insomma con tutti i mali che affliggono l’Italia contemporanea - e in particolare l’estremo Sud - e ne configurano l’anomalia.
Ma cerchiamo di capire meglio le caratteristiche reali di una terra che pure stimola «naturalmente» una certa visionarietà. Nel suo classico Viaggio in Italia (1957) Guido Piovene osserva che «le Marche sono un plurale», composte di una parte umbra, un’altra romagnola, un’altra ancora abruzzese. Ora, nel nostro Paese, a parte gli Abruzzi, c’è solo un’altra regione che si declina al plurale: le Puglie (anche se dall’istituzione delle Regioni, nel 1970, si è stabilizzata la dizione «Puglia»). E si declina al plurale sia geograficamente che storicamente, linguisticamente, culturalmente, eccetera.
Non è solo il paesaggio che muta radicalmente: per restare a Piovene, si passa dalla pianura gialla del Tavoliere al carattere tutto levantino di Bari, a Taranto nuova, distesa su una antica necropoli, alle piazze teatrali di Lecce dove «una commedia di Goldoni non stonerebbe». Un barese (dotato di un «gusto della pulizia» di origine sveva, «che non si avverte nemmeno nella val Padana») ha pochissimo in comune con un abitante della provincia di Foggia (un po’ «cittadina borbonica» e un po’ «cittadina del West») o con i leccesi, popolazione elegante «poco meridionale nel fisico» (le espressioni sono tratte da Piovene), con molte persone bionde di pelle asciutta e chiara.
Conseguentemente, la letteratura pugliese contemporanea, che comprende anche la diaspora (i molti pugliesi che vivono in altre regioni), è fedele espressione di questa varietà antropologica [continua sul sito de La Gazzetta del Mezzogiorno]» (foto: jjjohn)
Ma cerchiamo di capire meglio le caratteristiche reali di una terra che pure stimola «naturalmente» una certa visionarietà. Nel suo classico Viaggio in Italia (1957) Guido Piovene osserva che «le Marche sono un plurale», composte di una parte umbra, un’altra romagnola, un’altra ancora abruzzese. Ora, nel nostro Paese, a parte gli Abruzzi, c’è solo un’altra regione che si declina al plurale: le Puglie (anche se dall’istituzione delle Regioni, nel 1970, si è stabilizzata la dizione «Puglia»). E si declina al plurale sia geograficamente che storicamente, linguisticamente, culturalmente, eccetera.
Non è solo il paesaggio che muta radicalmente: per restare a Piovene, si passa dalla pianura gialla del Tavoliere al carattere tutto levantino di Bari, a Taranto nuova, distesa su una antica necropoli, alle piazze teatrali di Lecce dove «una commedia di Goldoni non stonerebbe». Un barese (dotato di un «gusto della pulizia» di origine sveva, «che non si avverte nemmeno nella val Padana») ha pochissimo in comune con un abitante della provincia di Foggia (un po’ «cittadina borbonica» e un po’ «cittadina del West») o con i leccesi, popolazione elegante «poco meridionale nel fisico» (le espressioni sono tratte da Piovene), con molte persone bionde di pelle asciutta e chiara.
Conseguentemente, la letteratura pugliese contemporanea, che comprende anche la diaspora (i molti pugliesi che vivono in altre regioni), è fedele espressione di questa varietà antropologica [continua sul sito de La Gazzetta del Mezzogiorno]» (foto: jjjohn)
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