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Prima di trasformarsi nell'inverosimile ammazzasette reaganiano conosciuto in tutto il planisfero, John James Rambo era, nel primo e indimenticato First Blood (1982) di Ted Kotcheff, semplicemente uno dei tanti reduci del Vietnam, figli reietti di una Nazione che dopo averli spremuti a dovere li aveva poi abbandonati raminghi alla ricerca di un equilibrio interiore ormai obliato per sempre. Nel film l'uomo, impersonato da uno Stallone ancora giovane e scattante, al top del gradimento ma ancora di là dal diventare una imbolsita parodia di sé stesso (ok, in vecchiaia Sly si sta riprendendo!), si mette alla ricerca dei suoi commilitoni, tutti coloro con cui ha condiviso l'orrore in Vietnam, in definitiva: la sua unica famiglia. Finirà in una piccola cittadina sonnolenta, tra le fauci di una feroce polizia locale che ne risveglierà gli istinti assassini costringendolo a darsi alla macchia e a scatenare una personale, spietatissima guerra. Fin qui è storia nota; sono migliaia gli articoli sparsi in rete che analizzano lo scarto tra la prima, efficace incarnazione di Rambo e la serqua pressoché sterminata di suoi seguiti ufficiale e poi d'imitazione (uno su tutti, il nostro Thunder, del nostrano Fabrizio De Angelis).
In pochi hanno però tenuto conto di un ulteriore scarto, quello cioé che intercorre tra il lungometraggio originale e il romanzo di derivazione, ovvero quel First Blood opera di David Morrell che, scritto e pubblicato nel 1972, a conflitto vietnamita ancora in corso, non si preoccupa di innestare sul personaggio principale quel quid di sofferenza interiore che - unita all'espressione impacciata e sofferente di Sly - finisce per far pencolare sin da subito nell'opera di Kotcheff le simpatie dello spettatore verso il giovane reduce perseguitato, ma invece ci presenta un John Rambo indisponente, le cui motivazioni non risiedono tanto nello stress post-bellico (è famosa a tal riguardo la scena finale del film in cui il colonnello Trautman discute con l'eroe piangente e sull'orlo di una crisi di nervi, scena in cui il pubblico comprende, una volta di più, quanto Rambo sia solo una vittima e non un carnefice), quanto, piuttosto, in una vena di letale follia acquisita sul fronte.
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7 commenti:
Va bene, annoto anche questo :-)
(ma intanto chiedo: conosci "Cryptonomicon"?)
Annalisa: non ho letto il libro di Stephenson, ma ne sento parlare da una vita: se stai per immergerti in quel viaggio, poi vieni qui e ne parli agli utenti del blog come VOCE AMICA, eh?
Ci sono immersa, è come un gorgo: irresistibile (e parla una che non ama certo la matematica, la fisica e altre affinità).
Film splendido! Sarò traviato dal fatto di aver triturato la videocassetta da bambino con ripetute visioni?? Credo che troppo spesso lo si metta nel calderone con i vari seguiti, che ovviamente non sono dello stesso livello.
@Gigistar, i seguiti sono ben altro, puro cinema muscolare impastato di reaganismo anni '80, ma Sly in fondo era, agli inizi di carriera, uno che scriveva ottimi soggetti (remember il primo Rocky?) e secondo me anche oggi, scava scava, resta un intellettuale prestato agli steroidi ;-))
assolutamente d'accordo! Come dimenticarlo ad esempio nei panni dell'intellettualissimo Marion Cobretti?? ;-)
@Gigi: Marion Cobretti è uno dei miei principali filosofi di riferimento... ;-))
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