giovedì 22 maggio 2014

parole mute nel Sud degli USA...

Quando Carson McCullers, fondamentale scrittrice del sud degli USA, nata e cresciuta in Georgia (1917-1967), scrisse questo romanzo aveva solo ventitré anni. Ma la maturità della sua voce risulta ancora oggi impressionante. Vissuta fin da bambina a contatto con le contraddizioni e i conflitti dell’oppressivo universo meridionale americano, fu marchiata a fuoco da questo ambiente al punto che i suoi testi ce lo restituiscono in maniera ossessiva e quasi ipnotica: è la stessa provincia abulica e in lento disfacimento resa immortale da Faulkner, Caldwell e dalla conterranea Flannery O'Connor, con la quale la McCullers condivise anche la fragilità fisica (a quindici anni si ammalò infatti di febbre reumatica ed ebbe diversi ictus invalidanti che la portarono giovanissima a essere appena in grado di pestare con un sol dito sui tasti di una macchina da scrivere). Non sorprende quindi che molti dei suoi personaggi siano infermi, tarati psichici, esclusi o emarginati, sempre e comunque grotteschi. 
Trasferitasi a New York, nel 1940 pubblicò questo Il cuore è un cacciatore solitario (scritto in un momento di grave infermità), nel quale con potente lirismo affronta i temi dell'alienazione e della solitudine. Riconducendoli ad un universo poetico che potrebbe fare il paio con le fotografie di Walker Evans o ancora meglio con le tele di Edward Hopper. Le prime pagine del romanzo sembrano infatti restituire al lettore l'opera forse più conosciuta del repertorio del grande pittore precisionista, Nighthawks (i nottambuli), un locale asettico, dalla cui immensa vetrata emergono quattro anime, il barista e tre avventori al bancone, il primo di spalle, altri due uno accanto all'altra ma non di meno soli, isolati, privi di slancio. Così nel romanzo: quattro protagonisti gravitano intorno alla figura del sordomuto John Singer, un mite e tranquillo orologiaio (come il padre della scrittrice nella realtà), passivo interlocutore scelto come depositario delle angosce di tutti gli alienati e disadattati di una piccola città del profondissimo sud. Prigioniero del silenzio, John non può ascoltarli ma, impossibilitato a farsi carico delle loro pene, arriva a giustificarne la violenza e i ricorrenti vizi per mezzo dei quali queste figure tragiche tentano di lenire la propria incurabile solitudine. Tenta di leggere faticosamente le parole sulle loro labbra e di rispondere col movimento delle mani affusolate per alleggerire il fardello del loro tristo destino («Il ricco lo considerava ricco quanto lui, il povero lo paragonava a se stesso… Ognuno descriveva il muto quale lo voleva»). E paradossalmente, il silenzio di Singer finisce per fornire una qualche risposta alle urla represse di chi gli sta attorno: poiché i suoi occhi sembrano comprendere «altro» (segreti, dolori, aspirazioni e sconfitte). Tra il muto e i quattro comprimari (un vedovo proprietario di un piccolo caffè, una strana ragazzina con la passione per la musica, un fallito agitatore socialista col vizio dell’alcol e un medico nero marxista e disilluso) si stabilisce un delicato equilibrio che finirà tragicamente: Singer, perduto l’amico, verrà a sua volta travolto dalla solitudine arrivando a togliersi la vita con uno sparo. Da questo intensissimo romanzo fu tratto il film di Robert E. Miller (1968) con Alan Arkin e Sondra Locke.
«La sala rimaneva ancora semivuota; era l'ora in cui gli uomini che hanno vegliato durante la notte incontrano per la strada quelli svegli da poco, pronti a iniziare un giorno nuovo. L'assonnato inserviente mesceva agli uni e agli altri birra e caffé, ma il locale seguitava ad essere silenzioso, nessuno parlava, quasi fossero soli. La reciproca sfiducia fra l'uomo appena alzato e quello che pone termine ad una lunga notte, dava a ognuno un senso di distacco […]».

Il cuore è un cacciatore solitario
Carson McCullers (Ed. Einaudi)

4 commenti:

CREPASCOLO ha detto...

Sondra Locke e Julie Harris si incontrano ad un provino per Riflessi in un occhio d'oro. Sondra ci è andata poco convinta su suggerimento del suo agente, lo stesso di Alan Arkin che sta tentando da decenni di trasformare Alan Arkin nel nuovo Brando sebbene Arkin stia benissimo nella sua nicchia , perchè credeva fosse uno 007 con il ritorno di Goldfinger.
La Harris - solido pedigree teatrale ed abitudine a recitare con i musi cesellati di Dean e Newman - sorride benevola della ingenuità della collega implume.
Carson McCullers ne invidia lo chassis di chi può calarsi nel primo straccetto e restare in un angolo della festa ad aspettare che un maschio sanguigno le porti da bere.
Huston sceglie l'attrice della Valle dell'Eden, claro que si, e Sondra se ne torna dal suo agente, un ragazzone a nome Eastwood che non sorride mai, nemmeno per le battute di Arkin. Clint è depresso perchè la piece Kit Carson and the spiders from Mars - in cui recita il suo cliente Geoffrey Lewis, faccia da cattivo di tanti film e futuro padre della più famosa - quanto sbroccatissima - attrice Juliette , è rimasto in scena il tempo di rimediare solo una epidemia di stroncature. La Locke - che non ha ancora digerito di non essere una Bondgirl + credibile di quella "pallidona con l'aria di Nonna Papera che sorprende Ciccio con il becco nella crostata " - per la prima volta trova il suo agente seducente. Gli sorride e gli chiede se gli andrebbe di andare a bere una cosa, ma il Dirty Harry che verrà è troppo preso da Alan Arkin in quel momento ( " Non telefona, non scrive...cosa ho fatto per meritarmi questo ? " ) per concedersi digressioni. La penserà diversamente qualche anno dopo. So goes life.

sartoris ha detto...

@crepascolo: chissà perché ero certo che la McCullers ti avrebbe ispirato :-)))

Antonella Giuliano ha detto...

Dopo aver letto con intensa avidità la O'Connor del Il cielo è dei violenti (con il timore di aver perso qualcosa per strada per la troppa velocità), ogni tanto penso alla McCullers e a questo libro; potrebbe essere una delle mie prossime letture!
A proposito, volevo chiederti se i racconti della O'Connor meritano come Il cielo è dei violenti! Ciao Omar

sartoris ha detto...

@anto i racconti della O'Connor sono perle inarrivabili. Persino meglio dei due (unici) romanzi lunghi della strepitosa scrittrice. Ti consiglio vivamente di procurarteli: sono tra le cose più belle che io abbia mai letto! :-))