
• Partiamo da Mal’aria. Da poco Rai Uno ha mandato in onda lo sceneggiato tratto da quel libro del 1998 vincitore del Premio Fregene: dando per scontato che sia un romanzo a cui tieni molto - essendo quello che in qualche maniera ti ha portato alla ribalta come autore - sei soddisfatto della trasposizione televisiva? E inoltre, poiché nel passaggio da un media all’altro un certo grado di «tradimento» è inevitabile, ti sembra che il lavoro svolto dalla regia abbia contenuto entro un limite accettabile questo lavoro?
• La fiction è abbastanza diversa dal romanzo, ma questo era scontato: si tratta di un libro estremamente duro e drammatico che, così com’è, difficilmente avrebbe potuto essere trasposto in tivù su Rai Uno e in prima serata. Al di là di ciò, io trovo che il film non sia male, soprattutto se confrontato con ciò che normalmente passa a quell’ora il piccolo schermo; sceneggiatori, regista e attori hanno svolto un lavoro più che dignitoso. Bisogna mettersi nell’ordine di idee che si tratta di un’altra cosa rispetto al romanzo: raccontata in modo diverso, per un mezzo diverso e forse anche per un pubblico diverso. Un pubblico enorme rispetto a quello dei lettori: Mal’aria in tivù ha avuto 6 milioni e mezzo di spettatori, una cifra davvero straordinaria, che ha portato il mio lavoro, per quanto rivisitato, a una visibilità che le vendite in libreria non mi avrebbero potuto dare in tutta una vita.
• Televisione, appunto. Avendoci avuto a che fare, hai un’opinione sulla discussa piattezza delle nostre produzioni rispetto, ad esempio, a quelle sperimentali e innovative provenienti dall’America? Che serial come Lost, 24, E.R. et similia da un decennio a questa parte abbiano rivoltato come un guanto il modo di approcciare al racconto sul piccolo schermo è un dato di fatto: perché noi non riusciamo ad essere altrettanto innovativi? Possibile che sia solo una questione di budget?
• Be’, il budget non è un problema secondario, ma forse non è neppure il principale. Gli americani fanno tivù da molto più tempo di noi e hanno una tradizione diversa e migliore non solo di quella italiana, ma in genere di tutta quella europea. Nel nostro Paese, poi, si evidenziano problemi maggiori e diversi: una tivù pubblica poco incline alla meritocrazia e condizionata da beghe politiche, poco coraggiosa e povera di idee e di stimoli; una tivù privata che mira principalmente al profitto e che non fa certo della qualità un proprio obiettivo; un confronto fra i due grandi poli televisivi che si svolge “al ribasso”, in una forsennata rincorsa ad accaparrarsi il pubblico meno esigente. Insomma, non è una situazione rosea, ma speriamo che qualcosa si muova.
• La letteratura «di genere» è oggi in Italia, con gran ritardo rispetto ai paesi anglosassoni, definitivamente sdoganata. Tu hai sempre sostenuto di non porre limiti al tuo lavoro e che le etichette finiscono per metterle gli altri, eppure, obiettivamente, dai tempi di Gotico ru
rale in poi non si può negare che la tua produzione (un mix di horror e noir, con numerose articolazioni non necessariamente definibili) s’incastoni in un filone, in una tendenza che probabilmente tu stesso hai aiutato a codificare nel nostro Paese. Cosa pensa oggi un pioniere del «genere» della diffusa moda del noir?
rale in poi non si può negare che la tua produzione (un mix di horror e noir, con numerose articolazioni non necessariamente definibili) s’incastoni in un filone, in una tendenza che probabilmente tu stesso hai aiutato a codificare nel nostro Paese. Cosa pensa oggi un pioniere del «genere» della diffusa moda del noir?• Il giallo e il noir in Italia negli ultimi 20 anni hanno rivitalizzato la nostra editoria, assicurato un buon numero di lettori e di acquirenti di libri e portato linfa anche a cinema e tivù. Dunque un movimento molto positivo, in grado anche di ovviare a certe assenze, come quella del romanzo d’avventura, di certo romanzo sociale, eccetera. Al di là di questi meriti, però, va segnalato un rischio: oggi ci sono troppi gialli e noir, e pare che le nuove leve di scrittori non possano esimersi dal percorrere i sentieri del «genere». Insomma, una specie di «crisi di crescita» che prima o poi presenterà il conto, temo. Credo comunque che una generazione di scrittori che si formata e affinata nella «palestra» del noir sia oggi pronta a dare anche altro e di più, e i segni di questo passo in avanti forse si stanno già manifestando.
• Sin dai tuoi esordi apparve chiaro quanto il territorio in cui hai sempre vissuto (il Ravennate) e i legami arcaici con il mondo rurale di quelle zone fossero una componente importante della tua vena creativa, al punto che in molti si misero a parlare di te come di uno «Stephen King padano». Credi ancora che quel legame nutra parecchia della linfa vitale dei tuoi scritti, o col tempo hai imparato a guardare con maggiore distacco alle tue radici?
• Le mie radici sono molteplici: quella territoriale è una delle più importanti ma non l’unica, perché accanto ad essa ne va messa una di tipo culturale che non ha confini. Per capirci: il mio immaginario, come quello di Stephen King o di chiunque altro nel mondo occidentale sia nato una cinquantina d’anni fa, si è formato sì con le suggestioni locali, ma anche con quelle insite nei film , nei libri, nei telefilm, nei fumetti, nella musica e nell’arte di quell’arco temporale. Detto ciò, il mio mondo «padano» non ha cessato e non cesserà mai, credo, di darmi emozioni ed idee, oltre che un carattere, e la stessa cosa in un modo o nell’altro può essere estesa alla gran parte degli scrittori. Pensa solo a come il giallo italiano sia fortemente legato ai vari territori di nascita degli autori, e di come ciò non sia un limite, ma un modo di raccontare tutto il nostro Paese e le sue multiformi caratteristiche.
• Assieme a Marzaduri, Fois, Rigosi, Lucarelli e pochi altri hai fuori di dubbio contribuito parecchio alla causa del «genere» italiano. Oggi ti capita di sfogliare opere delle nuove leve? Detto in soldoni: il panorama italiano ti sembra degno d’interesse? E se sì, hai qualche nome in particolare, qualche romanzo (anche non necessariamente appartenente a un filone predefinito) che ultimamente abbia suscitato il tuo plauso?
• Ho qualche difficoltà a rispondere per due motivi. Il primo è che una buona parte degli autori italiani li conosco personalmente, e alcuni sono miei cari amici, per cui non sono in grado di esprimere un giudizio distaccato. Il secondo è che negli ultimi anni leggo molta saggistica e poca narrativa. Insomma, mi trovi un po’ impreparato sull’argomento...
• A che stai lavorando adesso?
• Sto mettendo mano al nuovo romanzo. Il genere e la cifra narrativa saranno più o meno i soliti, ma l’ambientazione stavolta non sarà per niente padana: la vicenda si svolgerà nelle selve germaniche di duemila anni fa. Di più non dico, per scaramanzia.
• Ultima domanda che è una consuetudine per tutti gli intervistati di Coolclub.it: che musica ascolti quando scrivi? (e se non ne ascolti, quale musica nutre il tuo immaginario?)
• Scrivo in perfetto silenzio. Quando ascolto musica, si tratta di solito di buon vecchio blues.
(intervista realizzata per il mensile coolclub.it)
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