(Una toccante disamina dell'arte e della vita di Mickey Rourke su Sentieri Selvaggi; assolutamente da leggere...)
Questa è la storia di un corpo che si fa sempre più strato sensibile dell’anima. Un corpo che sa cogliere, come nessun altro forse, il punto culminante in cui avviene la rottura. La sottrazione e l’esagerazione, la compressione e l’esplosione. La salita e la caduta. Fino a The Wrestler, l’insostenibile elegia di un uomo, che vuole ritornare a casa.
Ore disperate di Michael Cimino: quando Michael Bosworth entra in scena per la prima volta, mani e piedi legati, torna in mente l’intera carriera di Mickey Rourke. Una costrizione fisica, una compressione dell’energia che fa il paio con una condizione esistenziale. Un corpo impedito e trattenuto, legato al palo, costretto a una sedia, un corpo che cova e si carica, per esplodere prima o poi, per mandare all’aria la previsione, il tranquillo e regolare moto delle cose. Ecco, Mickey Rourke è un corpo che freme sottopelle, appare immobile, per poi scattare, rompere le regole senza alcun motivo ideale, se non quello di ritrovare la propria necessaria verità. Sì. La storia di Mickey Rourke è la storia di un corpo che si fa sempre più strato sensibile dell’anima. Come un Dorian Gray non più di carta, ma di carne e ossa.
Rumble Fish (Rusty il selvaggio) di Coppola: quando «il ragazzo con la moto» cade per mano della polizia si compie un rito magico e si dà una profezia. Quel corpo, così perfetto da mozzare il fiato, è votato al martirio. È scritto. E il destino non è qualcosa che riguarda il futuro. È qualcosa che ha a che fare con ciò che è stato. È il compimento di un cammino che ha avuto inizio in un tempo lontano. Il destino nasce dal passato. continua (qui)
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