«Enrico distoglie per un attimo lo sguardo dalla strada, cerca il pulsante del condizionatore e lo preme. Il ronzio cessa.
- Perchè hai spento, papà? - gli chiede Andrea. - Fa caldo.
L'uomo sorride, abbassa i finestrini della station wagon e l'aria irrompe e mulina dentro l'abitacolo. - È un caldo buono, profumato. Lo senti?
Il bambino si stringe nelle spalle. Annusa odori, più che profumi, un misto di sentori sconosciuti. Guarda fuori. La luce è forte, quella di un pomeriggio d'estate. Forte e gialla. La macchina corre in un mare di grano. Lui non ha mai visto una distesa simile, dorata, accarezzata da un vento secco che la fa muovere come se fosse davvero la superficie di un oceano strano, creato da uno di quei pittori che si divertono a cambiare i colori, a trasformare la realtà con la fantasia e l'estro di un'idea, di un momento, di un'allucinazione.
La strada deserta si srotola davanti a loro, stretta, come se si fosse fatta minuscola per non disturbare le piante, vere dominatrici di quel mondo.
Enrico rallenta, si rilassa sul sedile, si sgranchisce le vertebre del collo. - Siamo quasi arrivati - dice.»
Quell'estate di sangue e di luna
di Eraldo Baldini e Alessandro Fabbri (Einaudi)
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