Un'ora prima che si sparasse, Philip Strayhorn, il mio migliore amico, telefonò per parlarmi dei pollici.
«Hai mai notato che quando ci laviamo le mani trascuriamo i pollici?».
«Scusa, in che senso?».
«È il dito più importante, ma siccome è sistemato lì da una parte, lontano dagli altri, non lo laviamo per bene. Gli diamo una sciacquata, tutt'al più una sfregatina, ma certamente non gli riserviamo la cura che meriterebbe per tutto il lavoro che fa. E probabilmente è anche il dito che si sporca di più».
«Mi hai chiamato per dirmi questo, Phil?».
«E molto importante, a livello simbolico. Pensaci... Che cosa stai leggendo in questo periodo?».
«Commedie, testi teatrali. Sto ancora cercando quello giusto».
«Ho incrociato Lee Onax, l'altro ieri. Dice che sarebbe ancora disposto a darti mezzo milione di dollari se lavorassi per lui».
«Non voglio più fare film, Phil. Sai come la penso».
«Sì, lo so. Ma cinquecentomila dollari ti farebbero proprio comodo per il tuo gruppo teatrale».
«Cinque dollari sarebbero già un grande aiuto. Ma se adesso tornassi indietro e girassi un altro film, forse troverei la cosa così divertente e stimolante che probabilmente mi verrebbe voglia di riprendere a fare del cinema».
«Hai presente i centoquarantamila tipi di suplizi dell’Eneide? Mi chiedo quale si adatti a te. “Non voglio essere più una stella di Hollywood perché la cosa mi turberebbe”. Pena numero 1387».
«Da dove chiami?».
«Los Angeles. Non abbiamo ancora finito il montaggio».
«Come si intitola?».
«Delitti di Mezzanotte».
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