Terra rossa, muri a secco, odore di scirocco, rumore del sole, campagne deserte ricche di ulivi e viti; qualche apetta che si aggira solitaria con alla guida un vecchio o un giovane dalla faccia cotta dal sole che vecchio lo diventerà prima del tempo. In questa terra calda e bruciata una piccola cittadina, Torre Languorina, vivacchia tutto l’anno in attesa dei mesi estivi in cui i turisti 'dell’altitalia' arrivano con le loro macchine nuove a spendere un po’ di soldi e a lasciarsi sorprendere da una vita che alcuni “giargianesi” (i turisti fuori regione) definiranno semplice, altri arretrata. Uno spaccio che fa da alimentari, da ferramenta e da tabacchino è il centro di questo paesino: lo stanzone, a cui si accede oltrepassando una tenda di plastica, è gestito da ‘Za Uccia e dal figlio Buba, ex militare in forza in Kosovo congedato con disonore dall’esercito, (unica chance di avanzamento sociale e di affrancarsi dalla povertà) perché accusato di aver torturato i prigionieri nemici. Al negozio di ‘Za Uccia si riforniscono saltuariamente Sputazza (un contadino che nessuno chiama per nome rimasto vedovo e con una figlia emigrata al nord per sfuggire al destino di soprusi che le sarebbe toccato in quanto donna di un boss locale), Pietro Lu Sorgi (un eremita fuori di testa di cui tutti hanno paura), Nicola (detto il ranger perché custode della riserva naturale della salina). La riserva segna il confine fisico e metaforico tra l’umanità di Torre Languorina e Languore, il comune di riferimento, quello dove il sindaco Enrico Saraceno si sta impegnano per il rilancio di questo pezzo di sud. Giovane, con una laurea che ha preso al nord, figlio di uno dei leader più carismatici e popolari della storia del paese, Enrico è il futuro: insieme alla giunta ha approvato un progetto che prevede la costruzione di un villaggio turistico al confine con la riserva. Il padre e Nicola, il ranger, si erano battuti per decenni contro il progetto; ma Enrico è convinto di essere cresciuto "assistendo al perenne rifiuto da parte del padre di qualunque proposta concreta, sia pubblica che privata, facendo appassire nell’immobilità la propria vita e la riserva”. Lui è diverso, lui vuole cambiare le cose. Ha affidato la costruzione del villagio turistico a Don Titta Scarciglia, un vecchio e ricco imprenditore edile che ha costruito la sua fortuna pagando mazzette, prestando denaro ad usura senza sporcarsi le mani ma usando come tirapiedi i Minghella, una famiglia di prepotenti che, come copertura, allevano e addestrano cani che in realtà usano per i combattimenti clandestini. La vita di tutte queste persone è legata a doppio filo alla salvaguardia della riserva, ma sono la violenza e la morte gli elementi che riuniranno in un unico destino tutti i protagonisti...
Il romanzo d'esordio di Omar Di Monopoli - passato e presente da sceneggiatore - non si legge soltanto, ma si visualizza: come in un film il lettore riesce a immaginare ogni scena; in alcuni punti del libro nei quali la violenza e il sangue sono il soggetto principale il lettore potrebbe avere l’istinto di chiudere gli occhi, proprio come accade al cinema. Uomini e cani restituisce l’idea di un sud selvaggio e violento, fatto di rapporti basati sul sopruso e sull’animalità che, appunto, non distingue gli uomini dalle bestie. L’atmosfera e la narrazione sono in linea con molta della produzione letteraria e cinematografica che ha descritto il Salento e la Puglia nell’ultimo decennio: vengono in mente Edoardo Winspeare con Sangue Vivo o Sergio Rubini con Mio Cognato e con La Terra. Per i colori e le immagini riprodotte forse si potrebbe anche scomodare, come ispiratore evidentemente, Vittorio Bodini. Un unico appunto per l’autore: Torre Languorina nelle intenzioni si trova “in un Salento lontano anni luce da quello da cartolina”, ma viene collocata in provincia di Taranto, che Salento non lo è già più. (Emanuela Grasso)
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