«One, two, Ram»: in una sala di un centro congressi in periferia, la leggenda del wrestling anni '80 Randy "Ram" Robinson firma autografi e si fa scattare fotografie per otto dollari l'una. Intorno a lui, altri ex lottatori, invecchiati e appesantiti, chi sulla sedia a rotelle, chi costretto ad andare in giro con il catetere, aspettano l'arrivo di qualche fan per fare due soldi con gloriose VHS o altri gadget. Si parta da qui, da questo momento di The Wrestler, film che riporta Darren Aronofsky in Concorso a Venezia a due anni dalla delusione The Fountain, per concentrarsi sulla cifra narrativa e stilistica, soprattutto emozionale, adottata dal regista per l'intero corso dell'opera: nella quotidianità di questo lottatore sul viale del tramonto, i gesti, gli acciacchi e l'enorme difficoltà di vivere al di fuori del ring - sul quale ritorna ogni fine settimana per esibizioni pagate miseramente - si portano al centro di uno sguardo doloroso, nostalgico e commovente su una realtà quasi mai raccontata al cinema (tutto quello che ruota intorno al mondo del wrestling), ma non per questo scevra di enormi riferimenti. Da Rocky Balboa a Randy Robinson - impossibile solo lontanamente immaginare qualcun altro ad impersonarlo che non fosse Mickey Rourke, a questo punto in pole position per la Coppa Volpi - il passo è però meno breve di quanto possa sembrare: "Ram" l'ariete è solo, in un "mondo che se ne frega di lui", con una figlia adolescente (Evan Rachel Wood) che prova inutilmente a riconquistare dopo anni passati chissà dove e l'illusione di un nuovo amore (Pam/Cassidy, spogliarellista non più giovanissima interpretata da una sempre brava Marisa Tomei) che non ci sarà mai. Aronofsky è bravo a non cedere di fronte ad inutili svolte mielose o prevedibili sentimentalismi, allontanandosi da qualsiasi presunzione metafisica che sembrava averlo un po' condizionato nel precedente film, e non smette di seguire il suo Randy - inquadrandolo spesso di nuca, con macchina a spalla e pianisequenza - illudendoci, illudendolo, di poter sognare altri ingressi trionfali: l'eco dei tifosi rimbomberà poco prima di inziare il nuovo lavoro al banco alimentari, ma non appena oltrepassata la tendina del «dietro le quinte» sarà il silenzio a calare nuovamente sulla sua vita. Lo stesso che l'aveva accolto dopo l'infarto - costringendolo a smettere con le esibizioni e tentare di ricominciare una vita "normale": ma è un fallimento che Randy non può sopportare, preferendo una volta di più il martirio della carne (e la battuta iniziale della Tomei su La passione di Cristo assume successivamente diverse forme di senso...) e il grido del pubblico, accettando l'epico confronto con «The Beast of Middle-East» a vent'anni dall'ultimo combattimento. Il guerriero spiccherà il suo ultimo volo.
(fonte: Sole24ore)
3 commenti:
Ha vinto!
Mickey era e resta un grandissimo: anche col faccione pieno di pugni.
Matteo
Sì, è un grande: ci ho scritto pure un post, da qualche parte (credo sia in ANALISI). Davvero contento del suo ritorno:-)
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