Il tempo dei lupi (2003) somiglia a un film di fantascienza. La trama, fatta di famiglie allo sbando alla ricerca di cibo e acqua in un imprecisato futuro, rievoca scenari carpenteriani e romeriani, ma anche atmosfere della serie tv di culto I sopravvissuti. Nel film di Michael Haneke, però, lo scarto tra finzione e realtà viene semplicemente cassato: messa al bando qualsiasi figura di eroe in grado di restaurare l’equilibrio perduto ponendo fine al dissesto, la pellicola si sdipana per mezzo d'inquietanti tracce sparse che rendono tangibile lo smarrimento dei personaggi (la Huppert da iniziale protagonista viene poi inglobata, con magnifico sprezzo, nel gruppo dei caratteri) e conferiscono suggestione a molti passaggi, che però incespicano nell'ingombro della metafora incappando in quella tendenza, di cui talvolta l'opera di Michael Haneke è vittima, a uno squallore preconfezionato. Volti segnati dalla sconfitta, coscienze piegate all'opportunismo, esseri umani messi alle strette: troppo deboli per non tornare (pavlovianamente) a compattare nuovi nuclei sociali ma al tempo stesso succubi delle proprie egoistiche esigenze alimentari.
Le ambientazioni agresti, perennemente immerse nella nebbia umida, incastonate nella cappa oppressiva del silenzio, rese ancora più povere dall'assenza calcolata di commento musicale, riconducono al disorientamento iconografico dello Stalker di Tarkovsky. La fotografia plumbea non risparmia nessuno e sin dalle primissime battute mette in guardia circa l'antifona del messaggio: i canoni che regolano la nostra civiltà sono una lastra di ghiaccio molto, molto sottile! Un certo manierismo rischia qua e là di zavorrare lo stile del regista di Funny Games e vanificarne, in parte, gli sforzi. Ma nel complesso il tempo dei lupi resta l'ennesimo parto disturbante (e geniale) di un grande regista, capace ancora di creare nello spettatore un grande vuoto (agghiacciante la morte del bambino straniero privato dell'acqua dal capo bianco, ripresa solo attraverso le gambe dei personaggi).
2 commenti:
decisamente più inquietante e meno omologato di un IO SONO LEGGENDA!
Fabrizio
IO SONO LEGGENDA secondo me tiene per tre quarti: poi il finalone holliwodiano spezza la tensione e tradisce il libro di riferimento!
Posta un commento