Calvaire è l'opera prima di Fabrice Du Weltz, giovane autore belga dall'inconsueto tocco autoriale. Il Calvario del titolo è quello a cui verrà sottoposto il giovane Marc Stevens, cantante squattrinato che si guadagna da vivere esibendosi negli ospizi. L'orologio della sua vita si fermerà quando, nella maniera più classica, la sua vettura si bloccherà sotto la pioggia costringendolo a trovare rifugio in una locanda sperduta. E sono proprio i classici come Dracula di Browning che vengono citati apertamente, soprattutto nella prima fase del film. Il "servitore" ritardato Boris, alla disperata ricerca della cagnolina Bella (suona un po' come Bela; Lugosi s'intende), non è certo lì per caso. Come non lo è la figura chiave del film, Monsieur Bartel, superbamente interpretato da Jackie Berroyer, il personaggio che incarna la follia più estrema.
Il desiderio di riappropriarsi di un amore antico porta il triste locandiere Bartel - così beffardamente annichilito in un passato da comico - ad abbandonare la realtà e a vedere nel giovane artista la moglie Gloria. Nonostante si possa ricercare la matrice di Calvaire in film come i soliti Non Aprite Quella Porta, Deliverance o Le Colline Hanno gli Occhi, per via di una trasposizione del tema della comunità di selvaggi pronti alle peggio efferratezze dai boschi statunitensi a quelli francesi, è l'evidente tocco d'autore europeo di Du Weltz che rappresenta la marcia in più. E ciò che perturba non è una eccessiva violenza di immagini (in realtà quasi assente), Calvaire è di per sé uno shock emotivo. Un viaggio nei meandri più oscuri e bestiali dell'animo umano, che non lascia speranza e che non mostra pietà. La chiave di lettura è l'insanità mentale, una follia tanto tangibile quanto rivoltante, poichè assoluta. E con maestria viene mostrata prima a noi che al protagonista, amplificando il senso del pericolo a livelli spesso asfissianti sino a quando si appura che lì, in quelle terre nascoste dal bosco, sono tutti inequivocabilmente sciroccati. La vicenda lascia sgomenti perchè così dannatamente plausibile, con tutto il suo portato di solitudine e ritorno allo stato primordiale degli istinti. A questo si aggiunga una fotografia opaca e quasi espressionista che rende i boschi del Belgio come la più inquietante delle location. Un piccolo gioiello da vedere assolutamente.
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