domenica 8 giugno 2008

Vivere per niente, morire per...

Il rischio di sfornare una cazzata immane c'era tutto. Superato il giro di boa dei sessanta e nonostante una tempra formidabile per un fisico di quell'età (però la faccia non sembra quasi più la sua, che c'entri l'abbuffata di anabolizzanti?), resuscitare l'eroe simbolo dell'amministrazione Reagan poteva risultare per il buon vecchio Sly una classica zappata sui piedi. Certo, i dialoghi sono spesso risibili, la CG utilizzata per le esplosioni sembra talvolta frutto del lavoro di un dilettante, e la sceneggiatura - isolata dal fluire della pellicola - è in soldoni di una spiazzante ingenuità, epperò... Epperò va detto che John Rambo, quarta incarnazione (a vent'anni esatti di distanza dall'ultima) dell'indomito veterano del Vietnam fa il suo porco lavoro e in certi momenti lo fa pure dannatamente bene. Spogliato di tutte le manfrine narcisistiche (via la scena ricorrente in ogni episodio della vestizione con bandana in bella vista!), via lo sbandieramento inutile di tutta la panoplia d'armi in dotazione all'eroe (compare solo l'arco con le frecce), il Rambo dei giorni nostri è finalmente diventato un taciturno e disincantato eremita che torna alla guerra alla maniera di certi personaggi hemingweyani, che finiscono tautologicamente cioè per «fare quello che fanno perché sono ciò che sono». E allora si parteggia per Stallone quando in un guizzo di istintiva brutalità riempie di piombo alcuni pirati birmani e si continua a stare con lui quando, per liberare la bella di turno, si attacca ad una mitragliatrice e fa una carneficina di cattivoni (rappresentati tutti, alla maniera dei radiodrammi anni cinquanta, coi ghigni tirati e la sigaretta in mano). Inoltre, quasi rispecchiando un crollo di illusioni che evidentemente appartiene allo stesso attore (qui anche regista) John Rambo è un film che spinge come non mai sul pedale dello splatter, versando litrate di emoglobina sin dai primi minuti. Regia appena sufficente ma ottima fotografia, e in più il film si concede il lusso di puntare il dito sul dramma civile che da più di mezzo secolo attanaglia la popolazione Birmana. Consiglio: spegnere il cervello e sedersi in poltrona a goderselo. Bentornato Sly!

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