mercoledì 3 luglio 2013

isolati dal mondo...

Una trama secca e contundente. Due fratelli in perenne contrapposizione, un padre burbero e sbevazzone, un amico succube che orbita attorno alla piccola famiglia disfunzionale e una morra di cani randagi che assedia il paesaggio. Attorno a loro la desolazione stagnante di un'isola arcaica e meridionale, lontana da ogni convenzione civile: un posto che è al tempo stesso un paradiso incontaminato ma anche la tomba di ogni aspirazione personale. Qui non crescono i fiori, splendido romanzo d'esordio dello sceneggiatore Luca Giordano, è un ritratto senza infingimenti della spietata volontà di (pre)potenza che regola i rapporti umani.
I legami di sangue vengono scandagliati dall'autore con tassonometrica essenzialità, mettendo a fuoco un quadretto familiare minimo, corroso da un odio animalesco cui soggiace, forte, pulsante, una richiesta d'affetto commovente che tocca nel profondo. Come il rabbioso cane randagio che uno dei due ragazzi protagonisti si ostina ad accudire dopo averne provocato a fucilate la zoppia, così gli esseri umani al centro della vicenda sembrano mossi da una diffidenza atavica che ne imbriglia gli slanci, mostrandone il lato peggiore.
Ed è in questa scarnificazione dolente dei sentimenti che consiste la vera sorpresa dell'opera, nell'essere riusciti cioè a individuare - grazie a una trama ritmata e lineare che trasporta il lettore verso l'inevitabile redde-rationem - la crudele e inflessibile geometria che ci lega ai nostri cari anche quando questi diventano i nostri aguzzini.
Una prova d'esordio ammirevole, una lingua intinta nell'epica che non lascia alcuno scampo: Qui non crescono i fiori è un libro che bisogna assolutamente leggere! Abbiamo fatto qualche domanda a Luca.

• Fin dalle prime pagine del romanzo il lettore viene catapultato in un'atmosfera cruda e torrida che molto mi ha ricordato Respiro, piccolo gioiello per il grande schermo firmato qualche anno fa dal regista Emanuele Crialese. Perché un torinese ha deciso di ambientare una storia in un'isola? Hai esperienze dirette di vita insulare?
Sicuramente Respiro è un film che ha molto in comunque con l'ambientazione del romanzo, non solo perché è la stessa isola. Per l'atmosfera e i rapporti familiari però, oltre a questo film, due in particolare mi sono stati d'aiuto, seppur diversissimi tra loro. Dogtooth, del greco Lanthimos, dove due genitori tengono i tre figli rinchiusi nella propria casa isolandoli completamente dal mondo esterno, e Snowtown, un film australiano basato su una storia vera nella periferia di Adelaide. Entrambe le storie, cinematograficamente, sono ambientate in «isole» da un confine ben definito. Di una crudezza disarmante, quasi grottesca. Per quanto riguarda la scelta dell'isola nel mio romanzo, da torinese, per un primo brevissimo periodo avevo anche pensato di ambientarlo in una zona più familiare, magari tra le montagne cuneesi. Quello che mi serviva era però che i protagonisti vivessero in un posto dove i confini fossero ben definiti, oltre il quale fosse impossibile scappare. È stata quindi una scelta quasi automatica, dovuta alla storia che - pur cambiando radicalmente nel tempo - ho sempre avuto in testa. Come esperienza diretta, invece, l'unica che mi viene in mente è che la primissima versione l'ho scritta quasi completamente in Australia. Certo, non è proprio grande come Lampedusa, ma c'è molto di quei luoghi e di quelle atmosfere.
• Cani e rapporti parentali ridotti all'osso per un romanzo che abbraccia sovente una simbologia crudele e spietata, rappresentando la violenza come l'essenza più vera delle relazioni umane: sembra di percepire molta letteratura southern, nel tuo lavoro. Ancor più che Faulkner e McCarthy, ai quali hai fatto spesso riferimento nelle interviste e che indubbiamente hanno fornito un qualche imprintingQui non crescono i fiori  (ma c'è un romanzo negli ultimi decenni che non debba considerarsi anche alla lontana debitore di questi due maestri?), ebbene dicevo che personalmente ci ho letto anche tanta Flannery O'Connor, con la sua concezione sanguigna e aspramente "animale" dei rapporti tra gli individui, in questo romanzo. Ti piace la scrittrice americana?
Sicuramente un certo tipo di letteratura americana mi ha influenzato per la scrittura di questo romanzo, e ovviamente Faulkner e McCarthy sono tra gli autori da cui posso prendere qualche ispirazione. A volte tento di avvicinarmi anche solo lontanamente alla perfezione di un loro periodo o descrizione, ma niente di più. Quello che di loro mi appassiona più di ogni altra cosa è la naturalezza nel descrivere e raccontare i rapporti o le sensazioni dei personaggi senza dover dire nulla in più di quello che il lettore vuole leggere. Non sono comunque gli unici che mi hanno aiutato a comprendere il giusto tono e la costruzione di alcune scene del mio romanzo ma, a essere più che sinceri, della O'Connor ho letto davvero poco.
• L'impostazione generale della tua scrittura è decisamente cinematografica ed è indubbio che, pur al netto di un linguaggio insufflato di un'indubbia - ed efficace - ricerca stilistica, Qui non crescono i fiori in certi punti somigli a una sceneggiatura, e se consideriamo che tu di mestiere fai lo sceneggiatore la concomitanza tra le due forme di scrittura non stupisce: ci spieghi quali sono per te le differenze tra lo scrivere per il cinema e lo scrivere un libro?
Ho iniziato a lavorare a questa storia inizialmente pensando fosse adatta per un film. Le cose, forse anche perché avevo troppo in testa Amores Perros di Inarritu, si sono accartocciate su una storia senza capo né coda. Una serie di scene più o meno riuscite ad altre forse un po' troppo splatter. Il romanzo è praticamente un'altra storia anche se, stilisticamente, alcune cose possono ricordare una sceneggiatura. Sicuramente la cosa che più li accomuna, o almeno questo era il mio intento, è quello di non mostrare e raccontare più di quello che si vede (o si legge). Detto questo non sono ancora convinto che queste somiglianze lo rendano necessariamente "cinematografico", così come son convinto che la gran parte dei romanzi scritti pensando già a una trasposizione cinematografica siano destinati a fallire nel loro intento. Insomma, credo che la maggior differenza stia nella libertà che ti puoi permettere quando provi a scrivere narrativa. Sia per la storia, la struttura e il metodo. Inizialmente non devi rispondere a nessuno oltre che a te stesso e, quando capisci che non puoi andare avanti, ti fermi o cambi direzione. Nel cinema, almeno per la mia piccolissima esperienza, che sicuramente non basta a dare un giudizio oggettivo sulle differenze, il problema principale è che non hai nemmeno il tempo di capire quale sia la cosa giusta da fare e da scrivere che, probabilmente, ci sarà sempre qualcuno che ti convincerà del contrario. E probabilmente lo farà senza cognizione di causa.
• Quando è nato il romanzo? C'è un evento in particolare, un suggestione che ha veicolato la tua creatività o è un progetto che hai maturato nel tempo? Sembra esserci anche molto di esperienza vissuta, nelle dinamiche tra i personaggi, ma è facile percepire un certo mestiere nella gestione dei blocchi narrativi per cui mi chiedevo fino a che punto Qui non crescono i fiori faccia parte di una "visione" letteraria che coltivi o se è un romanzo estemporaneo…
L'idea è nata leggendo un articolo di cronaca locale siciliana, di ormai sei anni fa. Due fratelli tenevano nascosto un randagio in un nascondiglio e lo addestravano per dei combattimenti clandestini. Una storia finita poi tragicamente e che mi è rimasta in testa per parecchi mesi. Come spesso mi accade, le idee che mi martellano per tanto tempo hanno al loro interno sempre lo stesso nucleo tematico che voglio raccontare, un qualcosa di personale che mi fa obbliga a non abbandonare completamente quella storia. Alcune ricercatezze che ormai fanno parte del mio stile, almeno credo, non penso e non credo di essere in grado di abbandonarle, ma probabilmente cambierò completamente tono o ambientazione. Non so se definirlo estemporaneo proprio ora che l'ho appena finito dopo così tanto tempo, ma forse è la definizione giusta. Insomma, per provare a essere più chiari, Qui non crescono i fiori, fa più che altro parte di una ricerca tematica più che letteraria. Il problema è che potrei anche rischiare di trovare una storia che si adatta particolarmente allo stile di questo mio primo romanzo e non potrò far altro che essere smentito.
Classica domanda di chiusura: cosa riserva il futuro per Luca Giordano? Ho letto che sta per uscire un film che hai scritto e mi piacerebbe ci dicessi la tua opinione sullo stato delle cose nel mondo del cinema nostrano: c'è la crisi, questo è indubbio, ma qualche volta sembra che una certa staticità affliggesse il settore da ben prima del grande crollo economico.
Il futuro è una cosa strana. Il film sta per uscire ma, quando uno dice che un film è lì lì per essere in sala, quasi sicuramente l'uscita slitterà. Quindi ho un po' paura, ma s'intitola Il terzo tempo ed è il film di diploma del Centro Sperimentale, mio, del regista e di gran parte di tutto il cast tecnico e artistico. Siamo stati fortunati ad avere l'opportunità di lavorare a un lungo piuttosto che a un cortometraggio e la svolta è stata aver attirato l'attenzione di un grande produttore e, di conseguenza, di una buona distribuzione. Nonostante tutto posso ritenermi fortunato. Dal punto di vista tematico e produttivo comunque lo stallo c'è da parecchio e, il problema, è che ancora non si è capito quanto il cinema possa e debba essere considerato un'industria. Nessuno rischia nulla e quando qualcuno lo fa, con ottimi risultati, non è assolutamente incentivato a continuare. Dalle difficoltà di qualche anno fa, allo stallo, si sta lentamente passando a una fase in cui non c'è il minimo rispetto, non solo per l'autorialità, ma per la professionalità in generale. Gente non pagata, contratti non rispettati aumentano solamente la diffidenza e, di conseguenza, anche la qualità dei prodotti. Il problema è che a perderci sono sempre e comunque gli spettatori e chi ci lavora, non certo chi ci specula.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Allora questa ISBN mica male.
Fabio

sartoris ha detto...

@Fabio: mica male per davvero ;-) soprattutto quando si tratta di storie coi cani ;-))

Anonimo ha detto...

Posso dirti che sei riuscito a farmi leggere l'intervista quasi per intero. Un miracolo... :-)
Fabio
Però mi è mancato il cassetto.

Luca ha detto...

Grazie Omar.

Fabio, dopo aver letto il tuo articolo di ieri, penso anche io che sia un miracolo. :)

Anonimo ha detto...

Caro Luca mi diverto con poco. Se mi mandi un pezzo su un libro che ti ha particolarmente colpito (di tutti i generi e di tutti i tempi) lo inserirei con orgoglio (sbaciucchiamento) nella mia rubrica http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/.
Fabio

Anonimo ha detto...

Bhè fa venir voglia di vedere pure il film!

Pippo

sartoris ha detto...

@Luca grazie a te ci mancherebbe!

@Fabio: molla la presa! ;-)

@Pippo: anche a me è venuta voglia, vero, di vedere il film scritto da Luca. Aspettiamo impazienti l'uscita (anche se, come dice l'autore, è bene non farsi illusioni, quasi è meglio non parlarne, potrebbero scatenarsi influssi nefasti nella distribuzione italiana che, come noto, attiene alla mistica più che alla razionalità:-)))

Luca ha detto...

La distribuzione italiana è quella cosa che fa concorrenza al caso. Mannaggia a loro.

Annalisa ha detto...

Letto.
Libro bello e terribile.

sartoris ha detto...

Annalisa, non mi stupisce ti sia piaciuto. Il libro vale e vorrei avesse il giusto risalto (applausi per Luca:-)

Luca ha detto...

Son contento che ti sia piaciuto, Annalisa.

Annalisa ha detto...

Contenta anch'io di averlo letto (e ho cominciato a far girare la voce :-)