giovedì 1 maggio 2008

I motori truccati di Daniele Vicari

Molto interessante il micro-mondo che descrive Velocità massima (regia di Daniele Vicari, Fandango 2002), popolato da personaggi come Stefano, il meccanico di Ostia interpretato da Valerio Mastandrea: un ragazzo non particolarmente intelligente né bello, con ambizioni tutto sommato miserrime. Uno come tanti, totalmente assorbito dalla necessità di rispondere a bisogni elementari: il lavoro, il sesso, il denaro. Con in più questa attrazione morbosa per la corsa, per la velocità. L'unica condizione, forse, quella dello sfrecciare oltre la soglia dei 220 km orari, che permette a Stefano di oltrepassare - ma solo momentaneamente - gli smorti confini in cui la propria vita è imprigionata.
Traspare dalla visione del film quanto il regista abbia avuto a cuore questa storia e la sua ferrea volontà di trasmettere ad un pubblico ampio i sentimenti imbrigliati che ne animano i protagonisti. E anche se non tutto funziona come dovrebbe (sembra un po' troppo gratuita la cattiveria di Giovanna, bella di turno, nei confronti del giovane Claudio, famiglio in odore di affrancamento del meccanico impersonato da Mastandrea!) i personaggi mantengono sempre una vicinanza con la realtà e una precisa definizione della personalità che li fa vibrare in modo plausibile, vero, anche grazie ad una sentita direzione degli attori che rispondono al progetto con quella che sembra essere una personale vicinanza alla materia narrata.
Velocità massima disegna uno spaccato, decodifica il disagio di una certa fetta di popolazione giovanile (ma forse anche non necessariamente solo giovanile) del nostro paese oggi; Stefano è un maschilista, pieno di teorie autocostruite ma banalissime, convinto di avere mille progetti, ma è in realtà un fallito come uomo, come figlio ed anche come imprenditore. Perennemente alla ricerca di soldi, che poi butta puntualmente in scommesse o altri investimenti poco oculati, non ha mai realizzato nulla grazie alla propria valenza personale, ed è ovviamente convinto di essere l'ennesima vittima di questo nostro mondo crudele. Claudio non sa che cosa significhi comunicare, se non attraverso l'uso degli attrezzi da meccanico, e spreca la sua intelligenza ed il suo intuito nell'ascolto dei cilindri e delle valvole piuttosto che degli esseri umani. Giovanna sogna i viaggi, i soldi e la laurea (!) ma non studia, non paga l'affitto e va a lavorare quando le pare; con la stessa disinvoltura passa da un sedile all'altro, da un uomo all'altro. Bell'esordio per un bravo regista che nel 2006 girerà, sempre con Mastandrea, il lungometraggio L'orizzonte degli eventi.

Curiosità: al Festival di Venezia del 2002 la pellicola si ritrovò a «correre» (e il caso di dirlo) in gara contro kolossal americani come Road to perdition (Era mio padre!)

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