Si può dire ancora qualcosa su quest'ultimo, acclamatissimo film by Sean Penn senza incappare in un punto di vista, una posizione critica o una sperticata adulazione che non sia già stata letta/vista/pubblicata da qualche parte in rete oppure sui giornali? La risposta, ovviamente, è un secco e categorico NO, perché in questo ispirato capolavoro il bad-boy di Hollywood ha saputo mescolare in maniera ecumenica gli insegnamenti registici della generazione di cineasti che lo hanno preceduto (da Ford all'ultimo Eastwood, per intenderci) alle laceranti istanze ambientaliste di fine millennio.
A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro Nelle terre estreme di Jon Krakauer (in Italia edito da Corbaccio Editore), Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista, giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un "picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il massimo pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete".
Il tema della fuga, centrale nella pellicola di Penn, si fonde e si completa con quello della ricerca, che si risolve - senza sconti consolatori per il pubblico - in un finale duro e per nulla banale. Il regista costruisce due ore e mezzo di storia appassionante, con uno stile che trova sin dalle prime sequenze un giusto equilibrio fra classicismo e sperimentazione, e attraverso una sceneggiatura che incede lenta ma potente, riuscendo ad affascinare e coinvolgere nonostante l'assenza un particolare dinamismo sulla scena.
Into the Wild è un film solido e maestoso, le cui piccole ma trascurabili pecche risultano soverchiate da un'altissima qualità tecnica e artistica. L'ultimo, commovente frame (quello che mostra l'autoscatto del protagonista reale Christopher McCandless) contiene in sé - da solo - una potenza estenuante, capace di penetrare oltre qualsiasi difesa dello spettatore per ribollirgli dentro a lungo sino quasi a tantalizzare l'ipotesi - dai! Possibile? - che forse, in fondo, scegliere di morire a quel modo non sarebbe poi così riprovevole. (fonti parziali: gli spietati)
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