Sono sempre stato un fan sfegatato di Mickey Rourke. Tendo a non tener conto del fatto che durante lo scorso decennio l'attore abbia ridotto in poltiglia la propria reputazione (un lavoro che grazie alla frequentazione dei ring ha alacremente condotto in parallelo anche sull'espressione del proprio viso, trasformatasi da splendida rappresentazione iconica del bad-boy anni '80 in un punging-ball al silicone che nulla ha a che invidiare al faccione di mia zia Petunia nei peggiori giorni di scirocco!), aspettandomi sempre un definitivo riscatto/revival delle sue qualità attoriali (nessuno, spero, vorrà mettere in dubbio la sua intensità nel bel noir/horror Angel Heart - dov'era un magnifico detective scalcagnato - o in BarFly, Rumble Fish, L'anno del dragone, Eureka, Johnny il bello, Ore disperate più numerose altre pellicole di quegli anni!). Certo, la recente trasposizione in lungometraggio del fumetto Sin City (dove interpretava lo psicopatico Marv celandosi dietro quintalate di lattice) può aver restituito un po' di smalto alla sua verve, e altrettanto probabilmente faranno Shotkill (tratto da un furibondo giallo di Elmore Leonard) e The Wrestler (storia di un lottatore in disarmo che torna sul ring per morire), entrambi in uscita anche in Italia, però la sensazione è che Hollywood non mai abbia saputo davvero perdonare a Rourke le sue notturne mattane a spese degli hotel di mezzo mondo, la sua rovinosa amicizia con gli Hell's Angels, le scorribande in moto, le botte a Carrie Otis (sua invidiatissima ex-moglie!) e gli strali pieni di boria che gli inimicarono gran parte dei registi più gettonati di fine secolo scorso. Peccato. Peccato per un attore che i critici definirono ai suoi esordi come il «nuovo Brando» e che del grande Selvaggio sembra aver invece ereditato solo il disfacimento fisico e una certa implacabile, distruttiva indisponenza che oggi, proprio come sta accadendo a un altro grande loser del grande schermo, Kevin Costner, sa tanto di scommessa perduta.
Nessun commento:
Posta un commento