giovedì 17 aprile 2008

Caro vecchio lui...

Un anno fa se ne andava il grande Kurt Vonnegut. Definito spesso come «scrittore per scrittori», ci ha lasciato un eccezionale corpus di opere in cui convergono profondità e sintesi, umorismo e sentimentalismo (con guizzi sempre ammirevoli di fantascientifica surrealtà). La sua era una prosa piuttosto semplice ma sempre immediata, lavorata al cesello. Vonnegut è stato spesso paragonato a Mark Twain, ed egli stesso ha più volte dichiarato la propria smisurata ammirazione per lo stile e l'opera di Twain. Anche la narrazione fantascientifica di Vonnegut non ha nulla a che vedere con il sense of wonder; alieni, invenzioni e paradossi fisici servono semplicemente da pretesto per osservare l'umanità dei personaggi da angoli inconsueti, soprattutto allo scopo di aggirare ogni pregiudizio e tornare in questo modo all'essenza delle cose, con una semplicità che è al tempo stesso la più feroce delle satire. Paradigmatico in questo senso è la Colazione dei Campioni, in cui la voce narrante sembra rivolgersi a un alieno o a un ascoltatore del lontano futuro, a cui occorre spiegare ogni cosa, persino cosa sia un hamburger; e per l'occasione, in onore di correttezza e semplicità, i coloni americani diventano "pirati venuti dal mare" e la piramide mozza rappresentata sui dollari, di cui neppure il Presidente conosce il significato, serve a dire ai cittadini: «nel nonsense è la nostra forza».
Daniele Brolli ha scritto: «In un paese civile Madre notte di Kurt Vonnegut dovrebbe essere diffuso nelle scuole al pari di Se questo è un uomo di Primo Levi. Le osservazioni sulla vita mascherate da filosofia spicciola concentrate nei romanzi di Vonnegut sono una forma di sapienza naturale che una volta tanto nega che tutto debba risalire ad un'ancestralità sorda e bestiale [...] Solo James Thurber e Salinger possono vantare la stessa leggerezza nel parlare delle cose del mondo senza emettere giudizi» (Segrete identità, p.222 Baldini & Castoldi, 1996).

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