“Sono più che consapevole del fatto che nell’intero Mezzogiorno vi siano amministratori e operatori della giustizia che da anni stanno lavorando con impegno e solerzia per affrontare e correggere vecchie problematiche legate al crimine, all’abusivismo e al malaffare”. Non c’è alcuna perfidia nelle parole di Omar Di Monopoli che con un’intervista a Ofcs Report racconta il suo ultimo successo letterario dal titolo Nella perfida terra di Dio, che ufficializza il suo passaggio alla casa editrice Adelphi. Un racconto con cui valuta l’attuale mezzogiorno italiano, nello specifico quello della ‘terra di Puglia’, dove egli stesso risiede. Per l’autore la critica coniò per la particolare tipologia del suo primo romanzo, Uomini e cani, la definizione di ‘western-pugliese’. Nei romanzi dell’autore pugliese, il tema del sociale attraverso la letteratura diventa così anche un prodotto di riflessione sulle perenni problematiche di un mezzogiorno che in realtà non si è ancora liberato della questione meridionale.
“Mi illudo di ordinare il caos del mondo con una penna” con questa affermazione ha voluto sintetizzare la sua missione letteraria. La letteratura, secondo la sua opinione, potrebbe essere un valido supporto al contrasto della criminalità?
“Certo, come ogni espressione artistica lo è nella misura in cui accende i riflettori su argomenti e questioni che si vorrebbero tacere. La letteratura, inoltre, ha nello specifico quel particolare ‘addendum’ di spingere e condurre il lettore alla riflessione su temi magari scottanti. Almeno, un certo tipo di letteratura riesce a farlo, poi, ovviamente, non sempre i libri, o gli autori, sono all’altezza di un compito siffatto. Va però specificato che nessuno scrittore scrive con la consapevolezza di dover necessariamente sollevare questioni importanti. Questo perchè è un’aspirazione che deve sicuramente accompagnare la stesura di un ‘opera, di qualsiasi genere essa sia, ma guai a calcolare tale progetto a tavolino, si rischia la didascalia e la presunzione mentre per un autore la priorità assoluta deve sempre essere null’altro che la storia da narrare. Che poi essa coincida talvolta con la Storia con la S maiuscola è un altro paio di maniche.
Secondo una sua recente opinione la Puglia “nasconderebbe un coacervo di problemi che sono ancora retaggio della mai risolta questione meridionale” non crede però che negli ultimi anni le amministrazioni locali si stiano impegnando a creare una Regione migliore e più appetitosa dal punto di vista turistico, commerciale e della qualità della vita e della sicurezza?
“Non si può naturalmente fare di tutta l’erba un fascio e sono più che consapevole del fatto che nell’intero Mezzogiorno vi siano amministratori e operatori della giustizia che da anni stanno lavorando con impegno e solerzia per affrontare e correggere vecchie problematiche legate al crimine, all’abusivismo e al malaffare. Ciò non toglie che, a dispetto della patina di oleografia che ha saputo fare del sud (e della Puglia in cui vivo in particolare) una meta di grande appeal dal punto di vista turistico, il meridione resti una zona altamente problematica e contraddittoria. Parlo di un luogo che d’estate si accende di rutilanti luci magiche e ipnotiche vibrazioni sonore ma che poi però, quando la bella stagione finisce, la realtà torni a chiedere il suo obolo e all’improvviso ci si rende conto che i veleni dell’Ilva e i fumi della centrale di Cerano continuano a rendere mefitica l’aria, che la Sacra Corona Unita è una mafia sconfitta solo sulla carta, basti guardare a quello che continua a succedere nel Gargano, dove le Società si affrontano a colpi di kalashnikov come nei film americani, e che la mancanza di lavoro e una politica ancora feudale non cessano di osteggiare qualsiasi progresso verso il futuro per questa terra disperata”.
Lei scrive: “Aveva interessato quelle latitudini sullo scorcio degli anni Ottanta, quando il calo produttivo dovuto alla crisi dell’ acciaio aveva imposto al polo siderurgico di Taranto, uno fra i più grossi e inquinanti d’ Europa, di smantellare parte dei cantieri e licenziare senza misericordia”. Le do una buona notizia: di recente l’ attuale amministrazione ha rassicurato i sindacati, confermando l’obiettivo di portare il gruppo Ilva al successo industriale che merita, nel rispetto della sostenibilità ambientale e di un miglior rapporto con la comunità tarantina.
Che romanzo ci scriverebbe?
“Guardi, il romanziere non fa il sociologo, l’antropologo né tantomeno il politico. Chi scrive storie si sforza di fotografare la realtà che lo circonda attraverso un proprio personalissimo punto di vista e non cerca risposte, anzi sovente il suo lavoro si giudica dalla capacità di sollevare domande. Io personalmente scrivo romanzi noir, libri dai toni volutamente cupi e a tratti espressionistici, quasi gotici. È una mia cifra che rivendico perché calcando sui toni riesco a mettere in rilievo le differenze. Evidenzio le criticità tramite l’eccesso di bianchi e di neri. Non posso quindi che plaudire a un eventuale miglioramento delle condizioni relazionali tra il più grande stabilimento siderurgico d’Europa e la comunità che vive e muore attorno a esso, ma sono portato per esperienza - e forse anche per un Dna tutto meridionale, una sorta di sesto senso non necessariamente costruttivo - a diffidare delle promesse accalappia voti. Staremo a vedere. Vigilando con attenzione ed eventualmente continuando a scrivere per documentare l’ennesimo tradimento perpetrato ai danni di questa perfida terra di Dio”.
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