quando nel 2009 uscì nei cinema MarPiccolo di Alessandro di Robilant, la città di Taranto non l'accolse granché bene. Anzi. Forse perché a chi vive ogni giorno in un cimitero non fa piacere che qualcuno glielo ricordi. Descritto per meri fini commerciali come una sorta di Gomorra in salsa pugliese, il film è in realtà un intenso racconto in soggettiva: quello d'un adolescente cresciuto in uno dei quartieri più degradati di Taranto, il Paolo VI, sotto un cielo soffocato dai miasmi mefitici delle ciminiere dell'Ilva che da sola produce un decimo dell'intero inquinamento europeo.
Tiziano, il coriaceo protagonista del film (Giulio Beranek, bella faccia malandrina che si accompagna a una capacità espressiva assai rara per un esordiente) è un giovane alle prese con la devastazione fisica e morale che contamina ogni anfratto della sua città, dibattendosi tra loschi giri di malavita di borgata e inutili battaglie della popolazione per ottenere una vita decorosa (o almeno una morte con qualche dignità: la diossina nell'aria provoca nella città un continuo moltiplicarsi delle affezioni tumorali e non c'è famiglia che non abbia in casa un malato di cancro). Né l'amore di una compagna (la portentosa Selenia Orzella, in seguito anche scrittrice per Aliberti) né la rete di affetti familiari (disfunzionali come da prassi) che lo circonda gli eviterà il carcere, ma il futuro gli offrirà un'occasione di riscatto attraverso la lettura e la consapevolezza.
Liberamente ispirato dal romanzo Stupido (Rizzoli) di Andrea Cotti, [tra gli autori della sceneggiatura assieme a Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli], MarPiccolo possiede un discreto ritmo e l'indubbia capacità di restituirci un'istantanea verosimile e mai edulcorata di una fetta di Puglia completamente avulsa dai successi che nell'ultimo decennio hanno reso la regione governata da Vendola la nuova mecca del turismo che conta. Ricorrendo ad una fotografia cromaticamente satura, Di Robilant mostra una notevole abilità nel definire un composito disegno di degrado urbano che, senza infingimenti, mette in scena l'agonia di una terra sventrata dal «progresso» industriale e ridotta - anche e soprattutto grazie a una classe politica inadeguata e corrotta - a un pantano di sogni andati in malora. Girato con pochi mezzi, ma decisamente ben distribuiti, MarPiccolo è una pellicola caratterizzata da grandi scatti di energia (come la rapina fatta in casa del rass Tonio, interpretato dall'affilatissimo Michele Riondino, all'epoca specializzato in ruoli da malamente e oggi rinomato young Montalbano) che mette al centro personaggi mossi da una rabbia indomita quanto autodistruttiva (coinvolgenti in questo senso anche le scene di baruffa durante la detenzione).
L'empatia ha però un rovinoso crollo quando la dimensione del film inforca con spudoratezza l'abbrivio della denuncia sociale facendosi ingenuo, sino a risultare persino noiosamente pedagogico: non si può davvero sentire l'invito a preservare la propria intelligenza dallo squallore attraverso la cultura per voce della monolitica maestrina che ha a cuore il destino di Tiziano, né sembra meno artefatto lo stimolo a non lasciarsi fottere da un potere che spinge al conflitto tra i poveri gridato dall'educatore Giorgio Colangeli. Però nel complesso il film ha una sua vivace tenuta e sicuramente affascina, e chi è cresciuto in quei luoghi guarda i panorami avvelenati dal mostro siderurgico con un certo ineludibile magone. Indovinato e calzante il post-rock (un po' emo) dei Mokadelic come colonna sonora. Opera interessante, da vedere.
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