a ottanta anni suonati, l'attore premio Oscar Robert Duvall non è decisamente stanco del ruolo del cowboy burbero e poco disposto al compromesso: dopo averlo interpretato un numero abbastanza esagerato di volte (la migliore, forse, in quell'Open Range che riportò Costner nei nostri cuori) ne ha rivestito di recente i panni per il dramma multigenerazionale Wild Horses (2015), un western contemporaneo che il roccioso attore ha anche scritto e diretto per il grande schermo.
Duvall interpreta qui con la solita struggente convinzione il personaggio di Scott Briggs, un macho, bigotto proprietario di un grande ranch in Texas in cerca di riscatto con i suoi tre figli adulti (tra cui un ottimo Josh Hartnett, sempre - ci secca ammetterlo! - figaccione nonostante l'avanzare dell'età), uno dei quali (James Franco, ormai - vivvaddio! - abbonato ai ruoli un po' borderline) ha cacciato di casa a fucilate 15 anni prima dopo averlo sorpreso nella stalla nel cuore della notte assieme a un giovane rancher omosessuale di nome Jamie, in seguito scomparso. Ma mentre l'anziano vaccaro deve fare i conti con il crepuscolo avanzante della propria esistenza, una nuova inchiesta sulla scomparsa del ragazzo, allestita con impegno e caparbietà dalla Ranger locale (Luciana Duvall, nella vita moglie della star, purtroppo dotata di capacità interpretative equivalenti a quelle di uno stoccafisso), capovolge i suoi accurati piani di affossamento della verità, disvelando lentamente tutti i segreti del passato.
Si scorge prepotente l'impronta dei melodrammi regionali di John Sayles nel mix di tragedia domestica, umorismo machista e mistero sotterraneo che sorregge la storia.
Ma se nulla si può eccepire al Robert Duvall attore, abilissimo a indossare i vestiti dell'ennesimo uomo posto di fronte una inevitabile resa dei conti (tonalità che già caratterizzava il suo magistrale L'Apostolo, uno dei capisaldi della cinematografia southern-gothic), come narratore e regista questa volta perde il filo - e la nostra attenzione - una volta di troppo diluendo le vicende in un mare di conversazioni poco brillanti e lacerti di trama un po' banali.
I momenti migliori sono sicuramente i confronti tra Duvall e il figlio gay Franco, interpreti formidabili che rappresentano diverse epoche culturali e che sono perfettamente in grado, con pochi guizzi, di rimestare nelle acque torbide di un rapporto padre-figlio contuso da sviste d'amore e di peccato. C'è un genuino dolore e una sincera speranza nei loro scambi, ma tutto il loro potere è diluito dalla stranamente inconcludente forza motrice della pellicola. Peccato, comunque interessante.
5 commenti:
Franco è tanto ossessionato dal nostrano Pif - si noti l'espressione nel poster - da aver chiesto a Sam Raim di dirigere una pellicola intitolata Another Gift in cui si racconta di un cellulare stregato che il protagonista non riesce a distruggere nemmeno lanciandolo sotto un rullo compressore. Davvero bizzarro questo tentativo di emulazione da parte di un attore/scrittore regista/modello. E' proprio vero che a dare senso e sale alla vita sono le sfide che ognun si sceglie quando ha esaurito quelle in cui incappa. Bob Duvall è una sagomaccia - nella vita non è tanto il tizio che adora il napalm al mattino quanto lo sbirro blandamente corrotto e sarcastico con fratello prete-in-carriera - e ha fatto in modo che la faccina rivolta a nord di Franco nel poster sia sotto il nome del figaccione malgrado gli anni che passano. James l'ha presa bene ed ora sta lavorando ad una surreale vita di Pessoa in cui i suoi eteronimi prendono vita e si impegolano in vicende che si intersecano nelle sliding doors del multiverso. Dirigerà il film dietro l'eteronimo di Franz Ferdinand Pessoa, misteriosa popstar a cui una chiaroveggente ha predetto sarebbe stata pugnalata con uno stoccafisso a Sarajevo.
Qualcuno dovrebbe aiutare James. Lo so: anche il sottoscritto.
@crepa: esci da questo corpo, Pazuzu! :-)
Non sarebbe male, vero ? Immagino che tu abbia un neurone perennemente sintonizzato sul cine. Bravo. Le mie celluline grigie non sono così interconnesse e sono anche meno, al netto di quelle bruciate, ma prima di Crepascolino posso ricordare decenni di sale anche d'essays e financo le terze visioni e roba che nemmeno il regista avrebbe mai ammesso di aver girato. Comunque, x quel che vale , anche a me piacerebbe vedere Bob Duvall nel ruolo di un esorcista cow boy cinico e di poche parole che cerca di far uscire un demone - folletto- verde da James Franco. Siamo dalle parti di quella storia di Lansdale con un Elvis all'ospizio che combatte una vecchia mummia insieme ad un nero che crede di esser JFK. Mi piacerebbe vedere le facce al Sandance semmai lo proiettassero lì...
E ci vedremo anche questo, e ci.
Però guardando il poster del film, mi si è chiuso un cerchio. Tempo fa ipotizzavo di come Hartnett assomigliasse al buon Tommy Lee Jones da giovane. Nella locandina di questo film, invece, mi ha subito fatto tornare in mente il Josh Brolin di "Non è un Paese per Vecchi" (anche lui munito di cappello e baffacci). E guarda caso, Brolin ha interpretato Tommy Lee da giovane in "Men in Black III", proprio per via della loro somiglianza. C'è unmeccanismo perverso che ancora mi sfugge, in questa cosa, lo so :)
Vero, luigi, Hartnett pare Brolin... (anche se è alto una spanna più di questi) ma non ti aspettare atmosfere alla Coen che qui siamo in altri lidi. Su tutto predomina Franco, che, per quanto non particolarmente simpatico si sta rivelando attore di vaglia:-)
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