giovedì 21 maggio 2015

l'amore in primavera sa essere mostruoso...

Puglia. Regione ad elevatissimo tasso di oleografia. Complice l'intraprendente e meticoloso lavoro di enti turistici e aziende di promozione locale, il Tacco d'Italia è assurto nell'ultimo quindicennio a vera cartolina del Belpaese, sicché il cinema nostrano, titillato dal pungolo sacrosanto di una commission decisamente agguerrita (l'Apulia Film, appunto), ha risposto senza farsi troppo desiderare all'indubbio richiamo scenografico di queste lande contribuendo in breve a (ri)disegnarne i contorni. Se non fosse che però, a parere di chi scrive, da potenziale eden del nuovo rinascimento nostrano su pellicola la regione ha finito per diventare quasi null'altro che l'enorme, smielato set di ogni dannatissima commediola romantica partorita - con una miopia davvero imbarazzante, diciamolo! - dall'industria della celluloide italiota (noi, a dirla tutta, ci stiamo provando da anni a fare quaggiù un film diverso, ma i finanziamenti continuano a saltare e comunque questa è tutta un'altra storia).
In tutti i modi, a volte accadono fatti inaspettati: ad esempio, capita che dagli U.S.A. arrivino cineasti di un certo rilievo (ancorché giovani) e decidano di utilizzare le competenze cinematografiche che la Puglia ha intanto fatto proprie (e su questo anche i detrattori più scafati converranno) per imbastire una storia horror proprio sotto i cieli azzurrissimi della regione più a levante della penisola.
Spring è il secondo, stranissimo film degli autori di Resolution, Justin Benson e Aaron Moorhead, interpretato da Lou Taylor Pucci, Nadia Hilker, Vanessa Bednar. È stato presentato nel settembre 2014 al Toronto International Film Festival, e il mese successivo al London Film Festival ed è quasi interamente - a parte un incipit a stelle e strisce - girato in territorio italiano.
La storia si svolge in un paesello dell'Italia del sud (Polignano a Mare, nel barese, un posto fantastico) ritratto invero abbastanza plausibilmente nonostante qualche eccesso folkloristico che per un pelo non scavalla il pericoloso crinale della macchietta (in alcune interviste gli autori hanno fatto sapere di averci tenuto a realizzare un film in cui l'Italia non sembrasse partorita da un episodio de I Griffin, e sostanzialmente ce l'hanno fatta, a parte, per esigenze di script, posizionare in bella vista il Vesuvio sul mare che diede i natali a Domenico Modugno).
Spring è una storia d'amore con risvolti horror fra l'attore che nel remake di La casa leggeva incautamente il libro del Male e una bella morona dalle origini nebulose e un tremendo segreto celato nel cuore. Siamo insomma a ben guardare dalle parti della più insulsa tradizione dei vari Twilight, epperò il prodotto finale risulta qui scritto, diretto e interpretato da gente di un certo talento. La pellicola non si vergogna infatti di raccontare l'ennesimo d'amor fou in salsa purulenta, facendolo però in maniera sentita, mai stucchevole, e inventandosi una mitologia derivante sì da Lovecraft ma a modo suo originale ed intrigante, non tirandosi indietro in quel paio di momenti in cui bisogna mettere sul piatto la deformazione mostruosa e viaggiando piuttosto agilmente su binari a metà fra l'horror, la rom-com e la poetica indie tutta disincanto e ironia mortifera. E quando si arriva al dunque, incredibile ma vero, i personaggi non si lasciano andare all'idiozia e decidono invece di affrontare la questione di petto, veleggiando verso un finale che funziona proprio in ragione di ciò, oltre che per la notevole intesa fra i due attori principali (che però presi in solitaria sono assai sciapi, va detto). Insomma, non un capolavoro, anzi, proprio per niente: però è una bella storia lineare messa in scena cavando il sangue dalle rape, con effetti speciali a basso budget che funzionano e un discreto piglio nell'architettare i movimenti di macchina.
Segnaliamo infine, pur nella benevolenza degli intenti, il solito limite dell’immaginario yankee riguardo al tema italico: i villici abitanti del paesino sono tutti rigorosamente vestiti e affaccendati come nel dopoguerra, le masserie sprigionano come da convenzione sprazzi insopportabili di un realismo magico che da queste parti in realtà disdegniamo, e, ciliegina sulla torta, gli autoctoni sono dipinti come creature perfettamente bilingue, in grado di parlare sia l'italiano che l'inglese come manco un interprete delle Nazioni Unite - il che, come sa bene chiunque sia mai passato al sud, è praticamente una chimera. Voto medio, con sortite grafiche decisamente interessanti che fanno bene al cuore e momenti d'involontario imbarazzo per lo spettatore.

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