Kurt Vonnegut è stato il grande cantore della controcultura americana negli anni Sessanta. Scrittore satirico scambiato sovente (con una facile semplificazione) per autore di fantascienza, attraverso le sue originali opere lancia deflagranti strali sulla società capitalistica per mezzo di un umorismo agre, talvolta nerissimo, comunque mai scontato, una cifra stilistica che da decenni affascina non a caso plotoni di nuovi narratori (tra l'altro, Vonnegut è definito spesso dalla critica come uno «scrittore per scrittori»). Nel fitto carniere di romanzi sfornati nell'arco di una lunga e prolifica vita editoriale, Il grande tiratore è uno dei suoi romanzi più nichilisti poiché affronta una storia di miserabili, nella vita dei quali la banale crudeltà delle cose irrompe nei suoi aspetti più tragici.
Il protagonista del libro, infatti, di nome Ruby, uccide accidentalmente, a dodici anni, una donna incinta con una fucilata; tale evento comporterà copiose elargizioni di denaro in un tentativo mai definitivamente «esperito» di rimborso del danno che farà finire sul lastrico la pur ricchissima famiglia. Il ragazzo si getta allora nell'arte cercando di sublimare in qualche maniera, e con qualche successo, la terribile china discendente in cui la propria esistenza (e quella dei suoi cari) è scivolata dopo l'incidente; Ruby verrà riconosciuto come discreto drammaturgo - numerosi spezzoni delle sue commedie sono disseminate nel romanzo - ma ciò non lo salverà dalle umiliazioni di amori difettivi e reiterate sconfitte esistenziali. Vonnegut sembra focalizzare parecchio l'attenzione anche sulla figura del fratello maggiore del protagonista, Felix, del quale Ruby invidia e ammira la normalità (in un gioco di specchi autobiografico: l'autore infatti, ha sempre avuto un atteggiamento simile nei riguardi del suo vero fratello, «più vecchio di me di otto anni, è uno scienziato di successo. La sua specializzazione è la fisica delle nuvole. Si chiama Bernard, ed è più divertente di me», prefazione a Benvenuta nella gabbia delle scimmie, pag. 15).
Non è sicuramente il più rappresentativo dei libri dell'autore di Indianapolis, ma è di certo uno dei suoi più sentiti, quello in cui la sua irrimediabile vena scherzosa (Vonnegut interrompe ad esempio la narrazione per descrivere alcune ricette culinarie; il protagonista, infatti, è, fra le altre cose, un cuoco provetto) si mescola a un'impronta di personalissima amarezza quotidiana facendone un prodotto unico nell'intero corpus vonneguttiano.
Il grande tiratore - Kurt Vonnegut (Ed. Bompiani)
4 commenti:
Mi hai fatto venire voglia di leggerlo.
Anche Dick fece cose egregie in contesti extra-SF, vedi "Confessioni di un Artista di Merda"
Luca: bello "confessioni di un artista di merda" anche se Dick era di grana diversa rispetto a Vonnegut... meno allegorico e più legato al genere, anche se altrettanto geniale :-)
Cosa posso aggiungere in coda a questo post? Quando si parla di Vonnegut, è come si parlasse di un dio lontano e impalpabile. E questo è uno dei suoi migliori romanzi, nonché uno dei più belli, in generale, del secolo scorso.
Forma e struttura sono meravigliosi, superati forse, in quanto a sperimentazione, solo da "La Colazione dei Campioni".
P.S.: dio lo abbia in gloria, Vonnegut non badava alle etichette e non si è mai posto il problema di dove rientrassero le sue storie. E' noto anche tra gli appassionati di fantascienza proprio perché alcuni dei suoi romanzi sono tra i migliori del genere (e grazie ai quali sono venuto a sapere della sua esistenza in tenera età): Piano Meccanico, Ghiaccio nove, Le Sirene di Titano... voglio dire, eh ;)
Luigi: è uno dei più grandi, sicuramente! (Leggerlo ti mette in pace con le contraddizioni del mondo:-)
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