(oggi proprio di frettissima, ché ci aspetta il medico per esami del sangue, elettrocardiogramma e altri cazzi sanitari. Segnaliamo la sempre invidiabile penna di Tommaso Pincio al servizio di una bella analisi del lavoro di Salinger)
Qualcuno ha detto che gli scrittori non si discostano mai dal libro d’esordio. Jerome D. Salinger sembrerebbe esserne la dimostrazione: siamo nel gennaio 1940, l’uomo che avrebbe dominato la scena letteraria americana dell’immediato dopoguerra sta per compiere il ventunesimo anno di età quando dalla rivista «Story» gli comunicano che un suo racconto è stato accettato e verrà pubblicato a breve. Malgrado gli piaccia ostentare un atteggiamento distaccato, il giovane Salinger è ovviamente esaltato: dice che, fino al momento di quella pubblicazione, ogni giorno sarà per lui una vigilia di Natale. Nella primavera dell’anno precedente l’ambizione di diventare uno scrittore professionista lo aveva spinto a reprimere l’insofferenza per il mondo accademico e le scuole in genere. Si era iscritto a un corso serale di scrittura creativa presso la Columbia University, tenuto da Whit Burnett, guarda caso direttore di «Story».
Qualcuno ha detto che gli scrittori non si discostano mai dal libro d’esordio. Jerome D. Salinger sembrerebbe esserne la dimostrazione: siamo nel gennaio 1940, l’uomo che avrebbe dominato la scena letteraria americana dell’immediato dopoguerra sta per compiere il ventunesimo anno di età quando dalla rivista «Story» gli comunicano che un suo racconto è stato accettato e verrà pubblicato a breve. Malgrado gli piaccia ostentare un atteggiamento distaccato, il giovane Salinger è ovviamente esaltato: dice che, fino al momento di quella pubblicazione, ogni giorno sarà per lui una vigilia di Natale. Nella primavera dell’anno precedente l’ambizione di diventare uno scrittore professionista lo aveva spinto a reprimere l’insofferenza per il mondo accademico e le scuole in genere. Si era iscritto a un corso serale di scrittura creativa presso la Columbia University, tenuto da Whit Burnett, guarda caso direttore di «Story».
L’aggettivo professionista, accostato alle ambizioni di un giovane scrittore, potrà forse sorprendere, ma è perfettamente in linea con la temperie di allora, ben sintetizzata dalle parole di Brendam Gill, per anni collaboratore del «New Yorker»: «È difficile per gli scrittori di oggi rendersi conto di quanti fossero i giornali che si contendevano racconti negli anni trenta e quaranta: ed è difficile rendersi conto di quanto li pagassero». Quanto è presto detto. Riviste come «Collier’s», «The Saturday Evening Post» e «Harper’s» rappresentavano la destinazione migliore per chi volesse campare di scrittura, erano chiamate «the slicks», le patinate, e arrivavano a pagare anche duemila dollari per un racconto. La vetta della sofisticazione era tuttavia costituita dal «New Yorker» e da «Esquire», rivista, quest’ultima, che si era costruita una reputazione pubblicando Hemingway e Fitzgerald. «Story» rientrava in un rango più basso, ma godeva comunque di una reputazione sufficiente perché un giovane di belle speranze potesse considerla un trampolino ottimale, tanto che in seguito Norman Mailer l’avrebbe ricordata come una leggenda: «Nei tardi anni trenta e in quelli della seconda guerra mondiale, i giovani scrittori sognavano di comparire sulle sue pagine all’incirca come il miraggio di un servizio su “Rolling Stone” può oggi mettere un giovane gruppo rock in uno stato trascendentale». (continua qui sul sito di Pincio)
2 commenti:
Pincio è un grande!
(Pippo)
Pippo non sai quanto sono d'accordo :-)))
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