Il poliedrico Sergio Corbucci - classe 1927, una laurea in economia, gavetta prima come giornalista e poi come aiuto-regista - ha mostrato nella sua lunga carriera di possedere capacità di adattamento creativo incredibili. Nel 1968, armato di pochi spiccioli, molte idee e una location decisamente inconsueta (Cortina D'Ampezzo), seppe partorire uno dei suoi sei/sette film migliori: Il grande silenzio.
In questa pellicola - che ha con gli anni raggiunto lo status di vero e proprio cult mondiale - il regista ebbe l'intuizione di fare della neve la sua implacabile protagonista; un'anomalia nel nostro western, così legato a Leone e alla sua visione assolata e ardentemente «mediterranea» del genere. Ma l'anomalia prosegue anche nella storia: è la neve, imprevista, che costringe infatti un manipolo di fuorilegge (o presunti tali) a rifugiarsi nelle montagne dello Utah e a vivere braccati dai cacciatori di taglie. Qualcuno di questi rifugiati assolda un pistolero, Silenzio, infallibile sparatore con la propensione a far saltare i pollici per impedire ai contendenti di tirare il grilletto. Taciturno, vestito con una pelliccia da donna, tutto nero ma col volto mite e triste di un attore che poco o nulla c'entrava con lo spaghetti nostrano, Jean Louis Trintignant, Silenzio diventa un paladino per questi disperati. La sua nemesi è invece Tigrero, uno dei più spietati personaggi della storia del cinema western, con le fattezze di un memorabile Klaus Kinski, abituale frequentatore di questi set. Non si tratta del solito bandito isterico interpretato dall’attore tedesco, ma d'un criminale tanto crudele quanto beffardo (grazie soprattutto al doppiaggio di Giancarlo Maestri), in grado di sentenziare battute ad effetto come: «Sembrate un allevatore di maiali, ma con quella stella sembrate un allevatore di maiali che si è messo a fare lo sceriffo». A fungere da fulcro della vicenda è poi un terzo uomo, uno sceriffo (Frank Wolff) dai modi contadini ma dal grande coraggio. Durante una caccia all'uomo, Tigrero reca con sè la moglie di un bandito, una nera (Vonetta Mc Gee), diversa tra i diversi e fa attirare a sè il marito, che viene trucidato dal cacciatore di taglie. La vedova giura vendetta e recupera Tigrero per commissionargli il regolamento dei conti.
Il film è saturo di tragiche sorprese ed è uno dei migliori spaghetti-western di sempre (senza dubbio uno dei più nichilisti). Merito della bella regia che evita qualsiasi spacconata in funzione dell'equilibrio, nonché di una sceneggiatura tesa e avvolgente dal primo all'ultimo secondo. Ottimo anche il cast. Da manuale poi il finale, cupo e violentissimo. Da non perdere per amanti del genere e non.
2 commenti:
Che film, ambientazione straniante e finale da urlo. Spettacolo!
@Firma, vero, altri tempi per il nostro cinema, altre idee in circolo, altri esperimenti possibili :-) (no anzi, la faccetta emoticon-corretta per rispecchiare l'attuale situazione del cinema made in italy sarebbe :-((((
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