Undertow (2004) rappresenta l'esordio del dotato (ma forse un po' discontinuo) David Gordon Green. Racconta la storia di due fratelli, Chris e Tim, (il primo, il maggiore, è interpretato da un convincente Jamie Bell) rimasti orfani in una provincia americana bigotta e paludosa e costretti alla fuga da un zio assassino (Josh Lucas) a caccia del tesoro in loro possesso.
È una storia cruda e assai ritmata che non di rado si abbandona a toni epici se non addirittura un po' fiabeschi: il modello dichiarato è il primo cinema di Terence Malick (qui in veste di produttore) con tutto il suo repertorio di reminiscenze «controculturali» (small town desolate e selvagge, case diroccate, hippie figli della disperazione) ma l'impalcatura della vicenda non si perita di attingere a piene mani anche da capolavori come La morte corre sul fiume, seminale pellicola southern-gothic firmata dal grande (e inarrivabile) Charles Laughton.
È una storia cruda e assai ritmata che non di rado si abbandona a toni epici se non addirittura un po' fiabeschi: il modello dichiarato è il primo cinema di Terence Malick (qui in veste di produttore) con tutto il suo repertorio di reminiscenze «controculturali» (small town desolate e selvagge, case diroccate, hippie figli della disperazione) ma l'impalcatura della vicenda non si perita di attingere a piene mani anche da capolavori come La morte corre sul fiume, seminale pellicola southern-gothic firmata dal grande (e inarrivabile) Charles Laughton.
Tra orizzonti slabbrati, fughe senza meta, sentimenti compressi e fantasie disperate (toccante la porzione del film ambientata in una comunità di fricchettoni sottoproletari), Green narra una storia il cui fulcro è essenzialmente la violenza e la miseria degli ultimi in una terra capace di racchiudere al contempo lo splendore e il tradimento.
Ma anche se profondamente radicato nelle badlands del proprio paese, Undertow si sforza di allargare il proprio diaframma per cercare di restituire allo spettatore un racconto universale: e così, aiutato dalla musica minimalista di un ispirato Philip Glass, Green riesce a rattoppare alcuni buchi di sceneggiatura conferendo all'intera vicenda quel giusto alone mitico, come se ogni storia che ci parla dell'America in fondo ci parlasse dell'impossibilità di scindere il Bene dal Male, e del dato di fatto che questa inesplicabile dicotomia sia la materia stessa che compone le radici del pensiero umano ma anche quelle pulsioni difettive e (auto)lesionistiche che segnano la vita di ciascuno di noi.
Il film come è ovvio è stato tenuto accuratamente alla larga dalle nostre sale italiane (non sia mai lo si preferisse all'ultima mirabolante commedia di Bisio) ed è stato possibile visionarlo solo tramite l'home-video (ma fortunatamente Rai4, sempre sia lodata, lo ha mandato in onda lo scorso inverno) anche se è possibile che il motivo di questa tarda riscoperta sia da individuarsi nella presenza nel cast della bella vampiretta Kristen Stewart, peraltro in un piccolo ruolo.
Se qualche scelta di script fa storcere il naso (i motivi della fuga dei ragazzi sembrano talvolta un po' forzati), convincono parecchio le interpretazioni dei personaggi cardine e l'atmosfera torrida e indefinita dell'ambientazione: una prospettiva che rende il Taxas che fa da sfondo alla storia una terra ribelle e immortale proprio come appariva nei primi esperimenti del vate Malick (si pensi a La rabbia giovane ma anche a I giorni del cielo). Da recuperare senza dubbio.
2 commenti:
ma dai io lo avevo intravisto alla tele e l'ho abbandonato pensando fosse la solita cacata americana... bisognerà trovarlo, allora :)
PIPPO
eh Pippo caro, in rete si trova tutto, a cercare bene... :-)
Posta un commento