vincitore dello Young Filmaker Award ai WA Screen Awards nel 2006, l'australiano Zak Hilditch arriva giovanissimo al cinema. Con cinque lungometraggi alle spalle, comincia a lavorare sullo script di These Final Hours nel 2009 prendendo spunto da alcuni episodi di Ai confini della realtà ma i problemi di produzione impongono al progetto numerosi stop-and-go. È il 2013 quando la pellicola trova una sua affannosa conclusione per essere presentata a Cannes quest'anno ed è, oggettivamente, una piccola meraviglia apocalittica low budget.
L'approccio aussie alla catastrofe finale è rinomato (remember Mad Max?) e Hilditch fa tesoro dei suoi predecessori (sicuramente della lezione di The Road) per regalarci una visione crepuscolare ed introspettiva delle ultime ore di una Terra condannata. Ma l’ultimo giorno del nostro pianeta prima della sua distruzione ad opera di un meteorite secondo questo (ennesimo) dotato cineasta proveniente dalla terra dei canguri si riduce - deliberatamente, e con successo - al continuo vagare del giovane James (Nathan Phillips, già visto nel primo Wolf Creek) e della piccola Rose che, in cerca del padre, si ritrova al seguito.
Nel tentativo di mettere sul piatto della bilancia le diverse reazioni di un'umanità presa alla sprovvista, dunque, pressata dal giogo di una cancellazione imminente che azzera ogni contrapposizione tra razionalismo e religione, Hilditch non si cimenta in tronfie speculazioni filosofiche ma focalizza l'attenzione sul mancato rapporto padre-figlia del protagonista (che rifiuta la gravidanza della donna che ama per correre a spendere le sue ultime ore in un colossale rave-party) che invece puntualmente si realizza attraverso l'incontro con una bambina sperduta e in balia della mostruosità di una popolazione allo sbando.
La morale e il libero arbitrio, la possibilità del riscatto e l'importanza dei legami famigliari diventano pertanto il traino di quello che si dà come un apologo sull'indifferenza raccontato attraverso la storia di James, cinico uomo medio che si redime lungo un percorso affettivo costruito con coraggio e plausibilità (al riguardo, la reale chimica fra i due interpreti va segnalata, e se infatti Nathan Phillips è un credibile James, rude e vulnerabile al tempo stesso, la giovanissima Aungorie Rice è sicuramente un'attrice capace, già pronta per altri esperimenti sul Grande Schermo). Film poetico, di una poesia inaspettata.
La morale e il libero arbitrio, la possibilità del riscatto e l'importanza dei legami famigliari diventano pertanto il traino di quello che si dà come un apologo sull'indifferenza raccontato attraverso la storia di James, cinico uomo medio che si redime lungo un percorso affettivo costruito con coraggio e plausibilità (al riguardo, la reale chimica fra i due interpreti va segnalata, e se infatti Nathan Phillips è un credibile James, rude e vulnerabile al tempo stesso, la giovanissima Aungorie Rice è sicuramente un'attrice capace, già pronta per altri esperimenti sul Grande Schermo). Film poetico, di una poesia inaspettata.
3 commenti:
Per meglio capire sono docuto andare a cercarmi il trailer. Il lavoro sulla fotografia sembra davvero notevole e anche la lavorazione sulle cromie.
Curioso come il tema della "fine" sia sempre più usato per raccontare invece storie intime sulla scoperta di se stessi. Al volo mi vengono in mente "4:44 - Ultimo giorno sulla terra" di Abel Ferrara, il "Southland Tales" di Richard Kelly o (anche se non proprio di fine del mondo di parla) dello struggente e delicatissimo "Another Earth" (del quale parlai a suo tempo qui).
Mi sa che alla fine darò un'occhiata anche a questo :)
çLuigi ho visto ANother Earth proprio su tuo consiglio. Molto toccante. E lei, la Malling, bello sguardo (ok, non solo lo sguardo:-)
ops, l'attrice bella si chiama Brit MARLING, non Malling ;-)))
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