cominciamo dalle cose buone. Tante, senza ombra di dubbio. Prima fra tutte (è una cosa un po' maschilista, d'accordo, ma d'altronde stiamo parlando di un western, genere macho per antonomasia) la stupefacente bellezza di Eva Green, che pellicola dopo pellicola ha ormai mostrato tutto ciò che c'era da mostrare eppure non si può non rimanere basiti dinanzi alla totale, scandalosa mancanza di democrazia da parte dell'Altissimo nella distribuzione della beltà tra gli esseri umani: la Green, qui mutola e anche un po' pesta, continua a essere una silfide contrita e letale, capace di utilizzare con abilità tutto il vocabolario in uso ai suoi splendidi occhi verdi per stendere a terra lo spettatore.
Poi passiamo al resto, ché già comprendere che stiamo parlando di un cinema sì intelligente e imprevedibile come quello danese, ma da cui tutto ci aspetteremmo tranne che una storia di speroni, cactus e cavalli, bhé, che dire, è una sorpresa mica da poco. Invece The Salvation è una bella scommessa, quasi interamente riuscita. Se il canovaccio ricalca in maniera corretta i canoni tradizionali evocando modelli facilmente riconoscibili (questo, semmai, diventa a lungo andare un limite, ma ci ritorniamo), il film si guarda bene dal gigioneggiare e anzi, fa decisamente sul serio: semina, e, per sommi capi, raccoglie i suoi bei frutti.
Dietro la macchina da presa c'è Kristian Levring, un ex della (famigerata?) banda di Dogma 95, quella setta anarco-cinematografica capeggiata da Lars Von Trier. Di lui abbiamo visto in Italia Il re è vivo e Quando verrà la pioggia, fantasiosi drammoni non disprezzabili dove il talento, anche a dispetto di personali idiosincrasie di che scrive verso quella tipologia di opere, s'intuiva con una certa evidenza.
Poi passiamo al resto, ché già comprendere che stiamo parlando di un cinema sì intelligente e imprevedibile come quello danese, ma da cui tutto ci aspetteremmo tranne che una storia di speroni, cactus e cavalli, bhé, che dire, è una sorpresa mica da poco. Invece The Salvation è una bella scommessa, quasi interamente riuscita. Se il canovaccio ricalca in maniera corretta i canoni tradizionali evocando modelli facilmente riconoscibili (questo, semmai, diventa a lungo andare un limite, ma ci ritorniamo), il film si guarda bene dal gigioneggiare e anzi, fa decisamente sul serio: semina, e, per sommi capi, raccoglie i suoi bei frutti.
Dietro la macchina da presa c'è Kristian Levring, un ex della (famigerata?) banda di Dogma 95, quella setta anarco-cinematografica capeggiata da Lars Von Trier. Di lui abbiamo visto in Italia Il re è vivo e Quando verrà la pioggia, fantasiosi drammoni non disprezzabili dove il talento, anche a dispetto di personali idiosincrasie di che scrive verso quella tipologia di opere, s'intuiva con una certa evidenza.
Qui la storia, americanissima e al contempo europea, s'impernia sulle tragiche vicissitudini di Jon, pacato danese immigrato nell’America dei canyons e degli sceriffi. Ma anche terra dei tagliagole senza legge e dei fuorilegge senza Dio. Uno di questi bellicosi esemplari, Delarue, vessa il villaggio presso cui Jon vive col fratello Peter, imponendo un tributo sempre più esoso. Le vicende del buon protagonista e del perfido Delarue si congiungono a seguito di una sconvolgente tragedia, che li porterà a ritrovarsi l’un contro l’altro armati, con esiti fatali per i cattivoni e qualche lutto insanabile per chi parteggia per il bene.
A incarnare l’uomo qualsiasi trascinato nel gorgo della violenza non di sua sponte, c’è un Mads Mikkelsen in forma smagliante che dipinge con tratti minuziosi un (ennesimo) ritratto umano di grande impatto emotivo. Senza mai indulgere a facili esasperazioni drammatiche - e la trama non è certo priva di spunti in tal senso -, l'attore scandinavo costruisce il suo Jon grazie a un meticoloso lavoro di sottrazione espressiva che ne conferma la bravura. Ma è nella personificazione del villain che l'appassionato del genere trova le maggiori soddisfazioni, per merito di un baffuto ed efficacissimo Jeffrey Dean Morgan, incarnazione pressoché perfetta di una nazione avida e spietata, gli USA, che dai migranti che ne costruirono le fondamenta pretese tutto di prepotenza, senza mai nulla concedere in cambio.
A incarnare l’uomo qualsiasi trascinato nel gorgo della violenza non di sua sponte, c’è un Mads Mikkelsen in forma smagliante che dipinge con tratti minuziosi un (ennesimo) ritratto umano di grande impatto emotivo. Senza mai indulgere a facili esasperazioni drammatiche - e la trama non è certo priva di spunti in tal senso -, l'attore scandinavo costruisce il suo Jon grazie a un meticoloso lavoro di sottrazione espressiva che ne conferma la bravura. Ma è nella personificazione del villain che l'appassionato del genere trova le maggiori soddisfazioni, per merito di un baffuto ed efficacissimo Jeffrey Dean Morgan, incarnazione pressoché perfetta di una nazione avida e spietata, gli USA, che dai migranti che ne costruirono le fondamenta pretese tutto di prepotenza, senza mai nulla concedere in cambio.
Fermo restante la goduria per un lungometraggio assai ben congegnato, si arriva però alla conclusione del film faticando a non ammettere che ci si sarebbe aspettati qualcosina in più. Ad esempio, per dire, che The Salvation giocasse a scardinare a proprio piacimento il genere, magari con note provocatorie e qualche ribaltamento di prospettiva non previsto; e invece Levring dà vita al più classico dei racconti di vendetta, confezionando quello che è in tutto e per tutto un bell'omaggio (Leone, Peckinpah) che rischia però di perdersi nel mare magnum di prodotti consimili (oltreoceano i western sono ancora pane quotidiano, magari per le tante cable tv).
L'unica caratteristica innovativa di The Salvation, semmai, la si può identificare nella riflessione (molto ben mimetizzata nella trama, però) che ingenera la consapevolezza di quanto sangue sia servito a edificare la nazione più potente del mondo. E non è certo un caso che Jon, al contrario di tanti eroi di frontiera di wayniana memoria, non si ritenga affatto un salvatore ributtando qualsiasi anelito ad appropriarsi di battaglie non sue: egli lavora e combatte per sé stesso e per la propria famiglia (vale la pena ricordare l’eccellente prova di Mikael Persbrandt nel ruolo del leale fratello Peter). L’eroismo di Jon è quindi una circostanza (s)fortuita e individuale, e pertanto profondamente moderno. In definitiva, un film da non perdere, ma siamo ben lontani da quel restyling pop che seppe fare nei Sessanta il genio nostrano con la medesima materia.
L'unica caratteristica innovativa di The Salvation, semmai, la si può identificare nella riflessione (molto ben mimetizzata nella trama, però) che ingenera la consapevolezza di quanto sangue sia servito a edificare la nazione più potente del mondo. E non è certo un caso che Jon, al contrario di tanti eroi di frontiera di wayniana memoria, non si ritenga affatto un salvatore ributtando qualsiasi anelito ad appropriarsi di battaglie non sue: egli lavora e combatte per sé stesso e per la propria famiglia (vale la pena ricordare l’eccellente prova di Mikael Persbrandt nel ruolo del leale fratello Peter). L’eroismo di Jon è quindi una circostanza (s)fortuita e individuale, e pertanto profondamente moderno. In definitiva, un film da non perdere, ma siamo ben lontani da quel restyling pop che seppe fare nei Sessanta il genio nostrano con la medesima materia.
1 commento:
Ho conosciuto Mads Mikkelsen molti anni fa ad un provino della band belga degli Hooverphonic. Il leader Alex Callier era perseguitato da una stalker che infilava ovunque - camerini, sala di registrazione - cartigli con il testo di Mad About You. Alex aveva letto quel racconto di Rex Stout in cui Nero Wolfe si fa sostituire da una controfigura mentre cerca di acchiappare un tale che ha minacciato di ucciderlo ed aveva chiesto al suo agente, il famigerato Colonnello Peter Parker, di trovargli un sosia. Mads aveva lo stesso broncino, un assist che manda in sollucchero le fans e le stalkers ed il suo nome ricordava il titolo di quel loro stramaledetto successo con Geike Arnaert che canta il birignano come una combo di Tina Lattanzi e di Gatto Silvestro.
Mikkelsen era già un ottimo attore e si faceva ben volere perchè era sempre pronto a far bisboccia ed aveva un appetito da cannibale. Già in quei gg.
Ken, il fratello del Colonnello, sebbene fosse un addetto alla sicurezza, pensava di essere un detective e cominciò a ragionare sulla faccenda. Escluse categoricamente la possibilità che qualcuno avesse potuto materialmente "seminare " i lyrics di Mad About You in posti come il sancta sanctorum di Alex - la sede dei true believers del verbo di Asterix dove, dopo il crepuscolo, Depardieu ed altri picchiatelli si ritrovavano x bere la pozione magica - e dedusse che era lo stesso Alex, inconsapevolmente a spostare i foglietti. Era stata Geike a scrivere e nascondere i pizzini per attirare l'attenzione dei media sul gruppo in gg in cui si diceva, x l'ennesima volta, che le Spice Girls fossero in procinto di tornare in pista. Non era sua intenzione spaventare nessuno. Alex non la prese benissimo e da allora Mads lo sostituisce ovunque, persino alle visite periodiche x la prostata. Doc Strange, il " suo " andrologo, ha esagerato nell'approfondire la questione nel corso dell'ultimo check-up e Mads si è ripromesso di averlo a cena, prossimamente. So goes life.
Posta un commento