Misterioso, sublime, noioso, intrigante e persino irritante: Under the skin, ultimo film del blasonato videoclipper Jonathan Glazer tratto dal romanzo Sotto la pelle di Michel Faber, riesce a centrifugare impressioni contrastanti, emanando al contempo un fascino irresistibile ma anche una fredda quanto inutile aura di compiacimento autoriale.
È, fuor di discussione, uno di quei lungometraggi destinati a dividere: o lo si ama o lo si odia. Da queste parti, in ragione d'un indubbio favore per l'opera di partenza, si è riusciti ad apprezzarlo senza troppe riserve - pur con qualche fatica nel finale - soprattutto per il tocco notturno e avvolgente del regista (tra le sue opere, video di assoluto culto anni ’90 quali Karma Police, The Universal, Karmacoma, Street Spirit, Into My Arms e Rabbit in Your Headlights), ma non nascondiamo che il magnetismo animale della protagonista - la sempre valida Scarlett Johansson - ha fatto bene la sua parte permettendoci di venire rapiti con nonchalance dagli andirivieni predatori del suo personaggio, una misteriosa extraterrestre (che qui non ha nome, mentre nel libro si chiamava Isserley) la quale ben presto assurge a mero pretesto per raccontare il nostro mondo e l'umanità da un punto di vista «altro».
Niente metafore o allegorie, nessuna satira sociale o politica, soltanto un alieno che cerca di portare avanti il suo (oscuro perché mai spiegato) compito in pura modalità "mantide", ovvero attirando con le proprie curve uomini soli per poi imprigionarli in un liquido vischioso, ma nel frattempo lasciandosi a sua volta sedurre dalle imperfezioni della nostra umanità e del nostro mondo, per finire con il commettere un unico grande errore: quello di credere che bontà e gentilezza siano elementi comuni a tutti gli esseri umani.
È, fuor di discussione, uno di quei lungometraggi destinati a dividere: o lo si ama o lo si odia. Da queste parti, in ragione d'un indubbio favore per l'opera di partenza, si è riusciti ad apprezzarlo senza troppe riserve - pur con qualche fatica nel finale - soprattutto per il tocco notturno e avvolgente del regista (tra le sue opere, video di assoluto culto anni ’90 quali Karma Police, The Universal, Karmacoma, Street Spirit, Into My Arms e Rabbit in Your Headlights), ma non nascondiamo che il magnetismo animale della protagonista - la sempre valida Scarlett Johansson - ha fatto bene la sua parte permettendoci di venire rapiti con nonchalance dagli andirivieni predatori del suo personaggio, una misteriosa extraterrestre (che qui non ha nome, mentre nel libro si chiamava Isserley) la quale ben presto assurge a mero pretesto per raccontare il nostro mondo e l'umanità da un punto di vista «altro».
Niente metafore o allegorie, nessuna satira sociale o politica, soltanto un alieno che cerca di portare avanti il suo (oscuro perché mai spiegato) compito in pura modalità "mantide", ovvero attirando con le proprie curve uomini soli per poi imprigionarli in un liquido vischioso, ma nel frattempo lasciandosi a sua volta sedurre dalle imperfezioni della nostra umanità e del nostro mondo, per finire con il commettere un unico grande errore: quello di credere che bontà e gentilezza siano elementi comuni a tutti gli esseri umani.
Grazie anche a una disturbante colonna sonora opera di Mica Levi, il film coinvolge e sovente irretisce, soprattutto quando lascia parlare lo splendore mozzafiato dei plumbei paesaggi scozzesi. Assistere allo sperdersi tra le brume fantasmatiche di quella terra del sinuoso corpo della Johansson (che ha avuto nel progetto una tale fiducia da mettersi completamente - e non in senso figurato - a nudo) è una esperienza esaltante per lo spettatore. Ma è forse nell'eccesso di sottrazione che l'impalcatura concettuale del film finisce per sgretolarsi, tradendo le aspettative: a furia di non spiegare, di non dire, e perfino di non mostrare, pur innalzando il fascino di seduttività della vicenda si finisce per svuotarne un po' il senso, affievolendo la tensione narrativa in favore di una estetizzazione forse esageratamente lynchana.
Un film dalla doppia valenza quindi, una pellicola lenta capace di virtuosismi insopportabili dotata però di momenti elevatissimi cui le grazie dell'attrice, offerte per noi e per tutti in remissione dei peccati, non possono che risultare il giusto addendum. Il rimpianto è constatare che i difetti di Birth, primo film del cineasta con una efficace Nicole Kidman che iniziava bene e poi si perdeva, sono ancora tutti presenti e che nonostante gli sforzi Glazer non riesce a realizzare un film totalmente convincente.
Dacci dentro, ragazzo, confidiamo in te!
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