È sorprendente ritrovarsi a constatare, dopo decine e decine di filmacci inguardabili recitati con il culo, che quella sagomaccia di Nicolas Cage è ancora un attore in grado di tirar fuori un'invidiabile verve interpretativa (d'altronde, non c'è da dimenticarlo, nonostante gli ultimi decenni ci abbiano abituato perlopiù alle mutazioni del suo parrucchino, Cage è pur sempre un premio Oscar!).
In Joe, trasposizione del romanzo omonimo di Larry Brown, scrittore di dichiarate discendenze faulkneriane, siamo daccapo alle prese con il doloroso deragliamento di quel Sogno Americano ormai annebbiato: storia di violenza, solitudini e sconfitte, il film del 2013 di David Gordon Green allestisce un mondo in cui la speranza sembra essere bandita, un luogo dove i perdenti non trovano (o non vogliono trovare) via d’uscite alla loro impasse e dove, allora, l’unico lucore possibile è quello che si ottiene togliendo di mezzo quanto è già corrotto nell'illusione di poter piantare nuove radici.
Il protagonista Gary ha quindici anni e un padre alcolista che lo mazzula duro. Costretto a cambiare paese con la madre e la sorella per le intemperanze del genitore, il ragazzo arriva in una cittadina del Texas deciso a trovare lavoro e a proteggere la parte sana della sua famiglia. Assoldato da Joe Ransom, un uomo generoso coi deboli e aggressivo con gli arroganti, Gary trova pace e consiglio al suo fianco. Ex detenuto col vizio della birra e delle belle signore, Joe è noto alla polizia e inviso a un vecchio rivale che non smette di provocarlo rivelandone la natura collerica. Natura che sembra acquietarsi davanti allo sguardo azzurro e pulito di Gary, che non smette di provarci e di sognare un futuro migliore. Accomunati dallo stesso cuore, crescono insieme, percorrendo in un pick-up scassato i loro andirivieni tra gli abeti «avvelenati». Ma il mondo là fuori non smette di tormentarli.
Il protagonista Gary ha quindici anni e un padre alcolista che lo mazzula duro. Costretto a cambiare paese con la madre e la sorella per le intemperanze del genitore, il ragazzo arriva in una cittadina del Texas deciso a trovare lavoro e a proteggere la parte sana della sua famiglia. Assoldato da Joe Ransom, un uomo generoso coi deboli e aggressivo con gli arroganti, Gary trova pace e consiglio al suo fianco. Ex detenuto col vizio della birra e delle belle signore, Joe è noto alla polizia e inviso a un vecchio rivale che non smette di provocarlo rivelandone la natura collerica. Natura che sembra acquietarsi davanti allo sguardo azzurro e pulito di Gary, che non smette di provarci e di sognare un futuro migliore. Accomunati dallo stesso cuore, crescono insieme, percorrendo in un pick-up scassato i loro andirivieni tra gli abeti «avvelenati». Ma il mondo là fuori non smette di tormentarli.
Accendendo i riflettori su un'America rurale dimenticata e squallida, dove l'umanità sembra costretta a convivere con la sua parte peggiore, il regista mette momentaneamente da parte il cinema leggero degli ultimi anni (ma in qualche modo già Prince Avalanche aveva annunciato la transizione) e torna a confrontarsi con le storie dolorose e intime che aveva raccontato all’inizio della sua carriera: qui un adulto e un ragazzo si incontrano alla ricerca d'un cammino redentivo, nella ferma convinzione di meritarsi una dannata seconda occasione.
Nonostante un villain ottuso e un poliziotto ostinato, nonostante le forze incomprensibili e le pulsioni ancestrali (la fissa coi cani feroci, la dipendenza dalla birra e dalle dame da passeggio), il looser di Cage, che indossa il suo passato nell'ardente perturbabilità di uno sguardo in fondo ancora indomito, prova caparbiamente a scolpire il proprio posticino nella società civile e finisce per sperimentare una simbolica paternità. Partendo dalle proprie insufficienze, Joe non si offre a Gary come esempio ma piuttosto come specchio riflesso incastonato in un paesaggio naturale sempre più brullo: un orizzonte selvaggio dove gli alberi, come i figli, vengono avvelenati e poi abbattuti. Con il corpo - e l'anima - segnato dalle cicatrici, Joe e Gary si riconoscono, hanno bisogno l'uno dell'altro e sono capaci di guardarsi confortandosi nelle reciproche solitudini.
Nonostante un villain ottuso e un poliziotto ostinato, nonostante le forze incomprensibili e le pulsioni ancestrali (la fissa coi cani feroci, la dipendenza dalla birra e dalle dame da passeggio), il looser di Cage, che indossa il suo passato nell'ardente perturbabilità di uno sguardo in fondo ancora indomito, prova caparbiamente a scolpire il proprio posticino nella società civile e finisce per sperimentare una simbolica paternità. Partendo dalle proprie insufficienze, Joe non si offre a Gary come esempio ma piuttosto come specchio riflesso incastonato in un paesaggio naturale sempre più brullo: un orizzonte selvaggio dove gli alberi, come i figli, vengono avvelenati e poi abbattuti. Con il corpo - e l'anima - segnato dalle cicatrici, Joe e Gary si riconoscono, hanno bisogno l'uno dell'altro e sono capaci di guardarsi confortandosi nelle reciproche solitudini.
La tragica epopea di Joe viene esposta nel racconto di Green con partecipazione e correttezza, trovando semmai il suo limite principale proprio nel risultare l’ennesima variante di un archetipo, nel suo scegliere un classicismo espositivo che non si discosta rispetto ad un binario solido ma abbondantemente battuto. Diventa pertanto l'interpretazione del cast il vero scarto: un divo come Nicolas Cage compie qui uno sforzo immane, tenendo a freno le sue intemperanze per fornirci una prova convincente, quasi tutta "a sottrarre", affiancato in questo da quel promettentissimo Tye Sheridan che ha saputo farsi valere anche in Tree of Life di Terrence Malick e in Mud di Jeff Nichols. Proprio con quest’ultimo film Joe ha molto in comune, dall’ambientazione southern al racconto dell’incontro tra un ragazzo in cerca di un padre e un uomo che, forse suo malgrado, si accorge di aver bisogno di un figlio. Gran bel lavoro.
16 commenti:
Non si può non trovare simpatico un papà che chiama suo figlio Kal-El ( il disegnatore Jon Bogdanove ha chiamato il suo "solo" Kal ), sceglie il cognome d'arte Cage in onore di Luke Cage Hero for Hire e voleva a tutti i costi interpretare Superman, ripiegando poi su Johnny Blaze/Ghost Rider.
Si la fissa di Cage per i comics è nota ed encomiabile. Peccato non abbia dato frutti maturi ma marci: ghost rider 1 e 2 fanno davvero male!!!
"Mud" mi era molto piaciuto, se questo gli si avvicina (e il ragazzo protagonista è lo stesso) lo vedrò senz'altro. Grazie come sempre per l'imbeccata, Sartoris ;-)
PIPPO
Pippo: sì sì, sembra uno spin-off di MUD, certo (quello era più limaccioso e sporco, però, questo la sporcizia te la fa intravedere solo in poche, estenuanti istantanee, però siamo negli stessi territori)
Dal trailer sembra un film ispirato. Ma davvero si può supporre che Cage in questa pellicola (o in una qualsiasi altra) non abbia recitato, tanto per citare le tue parole, "col culo"?
Ma chi sono io per negargli la possibilità di redimersi ai miei occhi?
E quindi guarderò questo film, si :)
@Luigi, credimi, sono anche io basito, eppure l'ha fatto!!!!
(voglio dire VIA DA LAS VEGAS, CUORE SELVAGGIO e STREGATA DALLA LUNA sono lì a testimoniare che il vecchio Nicolas se vuole c'ha la stoffa, ma se vuole eh? :-)
Non so... Mi costringerai ad apprezzare Cage-recito-col-culo (e col mio sorriso da dentista incapace)?
:-P
@Annalisa, stavolta sì (se sono riuscito a farti piacere Matthew McCoso ci riuscirò pure con MascellaQuadra Cage:-)
(dai, anche a me il Cage di oggi fa ribrezzo, ma ho ancora stampato in mente quando s'impegnava ed era sorprendente! Io dico che in questo film merita, e gli do assolutamente un buon voto!)
e non dimentichiamo IL LADRO DI ORCHIDEE, per il quale ebbe la nomination...
PIPPO
Pippo sicuramente, altro bellissimo film in cui il nostro Cage primeggia (in un ruolo doppio, tra l'altro;-)
Colpi buoni, in gioventù, ne ha messi a segno. Oltre a quelli che citi ci metto pure Arizona Junior dei Coen. Ma da lì in poi salvo poco o nulla.
Ma oh, se mi dici che ci si può credere, ad una piccola rinascita, io mi fido :)
ARIZONA JUNIOR certo, come ho fatto a dimenticarlo!!! (anche la prova - minuta - dell'esordio, assieme a Matt Dillon e Mickey Rourke in RUMBLE FISH non era malvagia) :-)
e "8 mm. Omicidio a luci rosse"?
@Goliarda: mmmh, in 8 mm già era cominciata la discesa, il film sembra affrontare una tematica scabrosa in maniera profonda ma in realtà è carne da cassetta, puro teatrino hollywodiano ;-))
Sarà.. ma a me era sembrata una buona prova. Cmq il mio preferito rimane Stragata dalla Luna. Ovvio =) =) =)
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