Dopo quasi un decennio passato dietro le sbarre, dove è diventato impotente e forse omosessuale, Butch Stein detto Bullet (pallottola), ebreo tossicodipendente che ama agghindarsi da niggha, fa ritorno a casa: ad attenderlo c'è un padre deluso e troppo attaccato ai suoi Martini per riuscire a capirlo, un fratello reduce dal conflitto in Libano con qualche rotella fuori registro e un boss criminale nero che gliel'ha giurata per non aver rivelato il nome del suo complice in un colpo.
Scritto da sé stesso medesimo - con lo pseudonimo di Sir Eddie Cooke - e diretto con mano sicura dall'amico Julien Temple, Bullet, anno domini 1996, rappresenta il postremo giro di boa della sino allora ascendente carriera di Mickey Rourke nonché l'ultimo, abbacinante viaggio in pubblico per i suoi veri connotati facciali prima del grande riassemblaggio chirurgico reso necessario dalla mole di jab cui il grande attore cominciò proprio in quegli anni a farsi bersagliare sul ring, nella velleitaria (quanto masochistica) ricerca di una gloria nel mondo della boxe che Rourke in parte riuscì ad ottenere con il nome di El Marielito.
Ma la pulsione autodistruttiva che già allora, al pari del nume ispiratore Marlon Brando, cominciava a permeare i suoi personaggi (e che tuttora - basti pensare alla crepuscolare figura del lottatore di The Wrestler, film cui si deve il suo meritatissimo rilancio - è componente fondamentale della sua indubbia capacità interpretativa) trova qui la sua apoteosi.
Ondeggiando pericolosamente fra un divismo che aveva smesso di appagarlo e il trash più patinato (quest'ultimo, in fondo, da buon figlio degli anni '80, ne aveva forgiato la stella: remember Orchidea Selvaggia?), in questa pellicola Rourke mette a segno l'ultimo - e il meno edificante - dei suoi autoritratti idealizzati: narrandoci i giorni della caduta di un piccolo gangster della malavita ebraica in fondo l'attore racconta di sé e di quello che era diventato a furia di mattane, alcool, intemperanze varie e ossessione per il pugilato.
E così Bullet, pur con le sue strabordanti imperfezioni (un certo manierismo "arty" assolutamente gratuito, una scansione dei tempi che oggi appare talvolta faticosa) regala qualche notazione di dolorosa sincerità assieme a un bel po' di cose valide, non ultima un cast assolutamente originale (vi compare un ancora sconosciuto Adrien Brody nella parte del fratellino dotato del protagonista, ma anche il grande rapper Tupac Shakur nonché il magico caratterista Ted Levine, indimenticato Buffalo Bill ne Il Silenzio degli innocenti e poi solida presenza di dozzine di opere seminali).
Nella caduta depressiva verso la morte violenta di Butch («avevi una bella testa», è la frase ricorrente che il protagonista si sente ripetere, un rimpianto che l'attore deve aver sentito molto "suo" in quel periodo, dopo il quale infatti lo attenderà un oblio cinematografico lungo più di un decennio) Rourke percorre interamente il suo calvario all'insegna di un "maledettismo" disperato con molti eccessi sensazionali e una allure perennemente decadente.
Film pregno di un suo fascino scomposto, che sarebbe magari da nobilitare e riscoprire se l'attore - ancora diviso tra odio di sé e vanità fuori controllo - non rovinasse spesso le intuizioni di sceneggiatura con qualche posa "atteggiona" che finisce per mistificare il lavoro di rappresentazione del vero (o del verosimile) dell'intero progetto. Peccato.
6 commenti:
Un film che risente del passare del tempo, ma, ad essere sinceri, avercene di film così al giorno d'oggi..
Buffalo Bill è nella sua batcave a mangiare con gli occhi le foto di Beth Ditto. Ha il volto dolente, sognante, distante del Mickey Rourke di Rumble Fish e la voce dolente, sognante, distante del Tom Waits di Distant Trains, ma il fisico cesellato e glam di 9 & 1/2 weeks. Davvero distante dal tonnellaggio della lead singer dei Gossip. Marlon e Gerard arrivano ogni dannata sera dopo il crepuscolo con pasta e patate e cercano di trascinarlo almeno in veranda a guardare H.R. Giger che monta le sue strane installazioni e legge Lovecraft ad alta voce con la stessa intensità con cui Nando Gazzolo maneggerebbe il materiale di Melville. Mick è altrove ( " La cosa, la California -citaz di Zorry Kid di Jac adorato da Rourke - è bellissima, persino meglio di qui " ). Brando e Dep lo guardano come Einstein guarderebbe Forest Gump perchè SONO in California, precisamente a La Jolla davanti alla prima sede della Image Comics. L'attore dell'anno del dragone mangia come Godzilla , ma non aumenta di una libbra. Giger lo guarda con disprezzo perchè sta meditando di assumere un verme solitario come si dice fece la Callas. Non stupisce scolpisse tutta quella roba con anguille che forassero pance dall'interno. Altro che maternità malata. Todd Mc Farlane esce dal suo sancta sanctorum con un blocco degli schizzi, butta giù un proto Spawn e lo regala a Rourke che sorride - ancora con i suoi denti veri - ed esclama che quella " faccia da hamburger
( definiz del Toddster x il suo famoso personaggio ndr ) è il suo punto di arrivo. Ci vorranno decenni e tanti di quelli interventi di chirurgia. Un gossip che ho raccolto - non detto dalla Ditto, of course - dice che persino Jim Lee - un passato di studente di medicina - abbia messo mano al bisturi. Decisamente meglio come disegnatore.
Oggi Mick si è addormentato in veranda e ha sognato Giger che saliva in cielo con ali demoniache e gli faceva ciaociao , si è svegliato e ha preso un tabloid da minimarket , ma era una di quella pubblicaz che racconta di rapimenti alieni. Non sa ancora nulla. So goes life.
@faina sono d'accordo. Poi quaggiù per Rourke c'abbiamo un debole :-)
@crepa: so goes life
Rourke é stato un gran attore peccato per questa sua indole autodistruttiva poteva regalarci piu interpretazioni ma purtroppo ne ha fatte meno
Eh ormai è andato. Faccia irriconoscibile
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