Boss, Charley, Mose e Button sono quattro cowboy che conducono le mandrie per le praterie americane. La loro vita è basata su un antico codice di amicizia e onore, ai margini dell'ondata civilizzatrice che sta cambiando per sempre le tradizioni del West. Paladini delle giuste cause, i quattro non sono devoti alla violenza ma l'arrivo in una città di frontiera governata dalla tirannide li costringerà a metter mano alle armi.
Come nel suo celebrato capolavoro Balla coi lupi, anche in Open Range l'attore/regista Kevin Costner riprende con sensibilità tutta moderna gli scenari classici del west - il modello è qui John Ford piuttosto che la (esemplare) destrutturazione del genere operata da Peckinpah e Leone. Ampi spazi, bellissimi contesti naturali (fotografati con la sperimentata, monumentale perizia tecnica di Hollywood) e nello stesso tempo particolare attenzione alla definizione psicologica dei personaggi - con un approccio inconsuetamente delicato per la parte sentimentale della storia (che però resta il segmento più debole, melenso e qua e là addirittura insulso dell'intera vicenda). Galoppando coraggiosamente accanto a un Mito lungamente rimosso, Costner, stivaloni e barbetta, dimostra di esserne il vero erede, un osso duro autentico che, in controtendenza rispetto ai ritmi della generazione Mtv - quella che decide il successo di un film nel primo weekend - si prende il tempo di costruire i personaggi, di dettagliarne i caratteri e la vita quotidiana prima di entrare nel vivo dell'azione.
Il film soffre sì di alcune lunghezze e di certi buchi narrativi abbastanza smaccati (il gregge di bestiame, snodo fondamentale nella prima metà del film, sembra completamente dimenticato nella seconda) ma, corroborati dalla maestosità della messa in scena, si arriva a seguire i percorsi del protagonista e ascoltare i suoi sproloqui come un’esperienza metafisica. Da manuale poi la sparatoria finale (il cui potere catartico viene purtroppo depotenziato dalla chiusa sdolcinata!). Notevole, comunque.
Come nel suo celebrato capolavoro Balla coi lupi, anche in Open Range l'attore/regista Kevin Costner riprende con sensibilità tutta moderna gli scenari classici del west - il modello è qui John Ford piuttosto che la (esemplare) destrutturazione del genere operata da Peckinpah e Leone. Ampi spazi, bellissimi contesti naturali (fotografati con la sperimentata, monumentale perizia tecnica di Hollywood) e nello stesso tempo particolare attenzione alla definizione psicologica dei personaggi - con un approccio inconsuetamente delicato per la parte sentimentale della storia (che però resta il segmento più debole, melenso e qua e là addirittura insulso dell'intera vicenda). Galoppando coraggiosamente accanto a un Mito lungamente rimosso, Costner, stivaloni e barbetta, dimostra di esserne il vero erede, un osso duro autentico che, in controtendenza rispetto ai ritmi della generazione Mtv - quella che decide il successo di un film nel primo weekend - si prende il tempo di costruire i personaggi, di dettagliarne i caratteri e la vita quotidiana prima di entrare nel vivo dell'azione.
Il film soffre sì di alcune lunghezze e di certi buchi narrativi abbastanza smaccati (il gregge di bestiame, snodo fondamentale nella prima metà del film, sembra completamente dimenticato nella seconda) ma, corroborati dalla maestosità della messa in scena, si arriva a seguire i percorsi del protagonista e ascoltare i suoi sproloqui come un’esperienza metafisica. Da manuale poi la sparatoria finale (il cui potere catartico viene purtroppo depotenziato dalla chiusa sdolcinata!). Notevole, comunque.
2 commenti:
@Luigi scusami ho fatto qualche modifica (era una immagine nel post su Oliver Stone a dar fastidio - ma tu pensa blogspot che sensibilità del cazzo) e i tuoi/nostri commenti su questo post sono stati cancellati (incompetenza mia, sorry!)
No problem. L'importante è che hai risolto ;)
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