Ho sempre avuto la passione per la storia sin da fanciullo imberbe «quando spalancavo gli occhi di ammirazione al gesto di Pietro Micca o a quello di Enrico Toti che scaglia la gruccia contro il nemico, non avendo altro da tirargli addosso, o alla risposta fulminea di quel generale francese napoleonico che, alla richiesta di resa da parte degli inglesi, gli urlò in faccia la parola ignobile (oggi farebbe ridere) diventata nobile almeno in quel caso».
Perciò ho seguito il filone del giallo storico con animo perturbato e commosso (tanto pe’ fa ‘na citazione). Affezionato ad una caterva di scrittori come Ellis Peters (il Medioevo mi ha sempre affascinato) ma, soprattutto alle indagini di Aristotele della Margareth Doody che mi fa venire in mente l’illustre Dorothy L. Sayers per gli studi, la classe dello stile e il suo pallino per il filosofo greco. Traduttrice, tra l’altro, quest’ultima, dell’Inferno di Dante. Ecco l’obiettivo. Dante, non tanto come scrittore e poeta, ma come investigatore, o comunque infilato a forza nei delitti più atroci (vedi un po’ la tiritera dei vecchietti per arrivare al dunque).
Oggi sta spopolando il detective storico. Non c’è niente da fare. In qualsiasi periodo tu voglia mettere il naso giallastro (forse manca il paleolitico ma non ne sono sicuro) eccolo lì pronto a districarsi tra morti ammazzati. Che poi nella storia vera, la sua vissuta voglio dire, abbia fatto tutt’altro importa assai. Basta che sia un personaggio importante, di nome, che attiri subito l’attenzione dei lettori. Per il resto ci pensa lo scrittore ad affibbiargli una qualche abilità investigativa.
Tra i tanti ricordo il già citato Aristotele e poi Machiavelli, Giordano Bruno, Leonardo da Vinci, Socrate, Aurelio Stazio (grande Comastri Montanari!) e via e via e via. Ma il più apprezzato, il più osannato, il più strapazzato è senz’altro il nostro Dante, ora racchiuso in un volumone di quasi novecento paginone dall’esperto Giulio Leoni che lo battezza antenato di Sherlock attraverso Le indagini di Dante, Oscar Mondadori 2013.
Qui deve risolvere quattro casi: «Un celebre mosaicista ucciso ai piedi di un'opera colossale e incomprensibile. Una galea arenatasi nelle paludi dell'Arno con il suo inquietante equipaggio di morti. Una cantatrice dalla voce paradisiaca, al cui fascino neppure l'Alighieri era stato insensibile, che l'assassino trasforma in un'orrenda allegoria. Infine, in missione a Roma, i resti di cadaveri dilaniati che il Tevere getta sulle sue sponde, forse sacrifici di un'antica terribile religione».
Se il nasuto poeta nazionale non investiga è comunque investigato. Soprattutto sulla sua morte che di nemici ne aveva a iosa. Malaria o assassinio? A volte diventa il depositario prescelto di una profezia e immaginatevi i risvolti purulenti, il suo fantasma aleggia nella vicenda sanguinosa oppure arriva alla polizia qualcuno dei suoi versi che portano sfiga tremenda, un manoscritto che potrebbe essere l’originale della Divina Commedia a creare un casino pazzesco, qualche testa matta che uccide seguendo le pene descritte nell’Inferno tanto carucce da mettere in pratica.
Non c’è pace. Anzi, non ha pace. Citato pure indirettamente da altri segugi di orme, vedi la Guerrera di Marilù Oliva che ogni tanto, tra un calcio in bocca e una ginocchiata nelle palle, rigurgita qualche terzina infernale. E insomma di Dante non si butta via proprio niente come si fa col maiale (mi è venuta così).
Su Inferno di Dan Brown taccio che ne sentiremo parlare anche troppo.
E così sia.
[by Fabio Lotti, of course]
Oggi sta spopolando il detective storico. Non c’è niente da fare. In qualsiasi periodo tu voglia mettere il naso giallastro (forse manca il paleolitico ma non ne sono sicuro) eccolo lì pronto a districarsi tra morti ammazzati. Che poi nella storia vera, la sua vissuta voglio dire, abbia fatto tutt’altro importa assai. Basta che sia un personaggio importante, di nome, che attiri subito l’attenzione dei lettori. Per il resto ci pensa lo scrittore ad affibbiargli una qualche abilità investigativa.
Tra i tanti ricordo il già citato Aristotele e poi Machiavelli, Giordano Bruno, Leonardo da Vinci, Socrate, Aurelio Stazio (grande Comastri Montanari!) e via e via e via. Ma il più apprezzato, il più osannato, il più strapazzato è senz’altro il nostro Dante, ora racchiuso in un volumone di quasi novecento paginone dall’esperto Giulio Leoni che lo battezza antenato di Sherlock attraverso Le indagini di Dante, Oscar Mondadori 2013.
Qui deve risolvere quattro casi: «Un celebre mosaicista ucciso ai piedi di un'opera colossale e incomprensibile. Una galea arenatasi nelle paludi dell'Arno con il suo inquietante equipaggio di morti. Una cantatrice dalla voce paradisiaca, al cui fascino neppure l'Alighieri era stato insensibile, che l'assassino trasforma in un'orrenda allegoria. Infine, in missione a Roma, i resti di cadaveri dilaniati che il Tevere getta sulle sue sponde, forse sacrifici di un'antica terribile religione».
Se il nasuto poeta nazionale non investiga è comunque investigato. Soprattutto sulla sua morte che di nemici ne aveva a iosa. Malaria o assassinio? A volte diventa il depositario prescelto di una profezia e immaginatevi i risvolti purulenti, il suo fantasma aleggia nella vicenda sanguinosa oppure arriva alla polizia qualcuno dei suoi versi che portano sfiga tremenda, un manoscritto che potrebbe essere l’originale della Divina Commedia a creare un casino pazzesco, qualche testa matta che uccide seguendo le pene descritte nell’Inferno tanto carucce da mettere in pratica.
Non c’è pace. Anzi, non ha pace. Citato pure indirettamente da altri segugi di orme, vedi la Guerrera di Marilù Oliva che ogni tanto, tra un calcio in bocca e una ginocchiata nelle palle, rigurgita qualche terzina infernale. E insomma di Dante non si butta via proprio niente come si fa col maiale (mi è venuta così).
Su Inferno di Dan Brown taccio che ne sentiremo parlare anche troppo.
E così sia.
[by Fabio Lotti, of course]
Nessun commento:
Posta un commento