Ci sta Gary Oldman armato di mitra Thompson a ruota. Un Guy Pearce cattivissimo pettinato tipo Al Falfa de Le piccole Canaglie. Poi Tom Hardy nei panni del redneck burbero e indistruttibile. E Shia LaBeouf che sgrana i suoi occhi da eterno ragazzetto. Infine c'è la bella Jessica Chastain ad ancheggiare dietro il bancone di un bar. Siamo nella Virginia dei primi anni trenta e i tre agguerriti fratelli Bondurant distillano clandestinamente il loro sidro di mele ad alta concentrazione alcolica. Dapprima ai margini della città, senza immischiarsi con i traffici dei gangster che si sparacchiano nei meandri delle metropoli, poi alzando il tenore degli affari quando anche il più giovane dei tre, Jack, trova il coraggio di sconfinare. L'arrivo da Chicago di Charlie Rakes, rappresentante della legge corrotto e feroce, mette però i fratelli Bondurant sulla strada di una guerra inevitabile e all'ultimo sangue.
In tandem alla sceneggiatura col suo fantastico sodale di sempre Nicola Caverna (Nick Cave), l'australiano John Hillcoat gioca in territorio americano imbastendo un western in salsa proibizionista a partire dal romanzo La contea più fradicia del mondo di Matt Bondurant, a sua volta ispirato alla storia vera del nonno e dei prozii dell'autore. Le premesse sulla carta erano più che buone, soprattutto considerando la capacità del regista, strepitoso nel riproporre il mondo apocalittico di McCarthy in The Road ma soprattutto in The Proposition (western cruento e sanguigno, più mccarthyano che mai), ma Lawless, funestato da mille peripezie produttive, risulta in soldoni un'occasione mancata.
A salvare il film dal ridursi ad essere una sequela di vendette e ripicche che procedono ripetitive e prevedibili verso il redde rationem più scontato, è soltanto la presenza di un composito gruppo di attori bravi e carismatici. La cui presenza scenica salva a malapena dal naufragio un progetto che - a naso si percepisce - nelle intenzioni degli autori era destinato ad essere epico, maestoso e appassionante. Ma il taglia-e-cuci imposto dalla produzione (Cave ha dichiarato da più parti che il suo script è stato evirato di numerosi risvolti shakespeariani) pesa notevolmente sulla tenuta generale. Non c'è dubbio, infatti, che l'intento di Hillcoat fosse di mascherare da gangster-movie una storia di violenza rurale molto «di frontiera», incanalando la pellicola lungo un binario narrativo che poteva risultare vincente (e sia chiaro la storia in più parti coinvolge), però la voice-over che commenta l'andazzo è debole, così come la leggenda famigliare che vorrebbe i Bondurant immortali: introdotta malamente, il pubblico non fa in tempo a crederle perché gli eventi da raccontare sono tanti. Fortuna che le cose da salvare non sono poche, a riprova di un'equipe di lavoro comunque dotatissima e una spanna più in alto della media: la fotografia è toccante (i panorami della Virginia - in realtà la Georgia - sono catturati con magistrale abilità poetica), i costumi meticolosamente ricostruiti, alcune inquadrature sono geniali e la colonna sonora, opera ovviamente di Cave e del fido Warren Ellis, rivisita in chiave contemporanea struggenti ballate farcite di banjo e chitarre country. Comunque da vedere.
4 commenti:
Cacchio. Io a 'sto film ci tenevo. Le ambientazioni, quel periodo storico, Guy Pearce, Tom Hardy, Gary Oldman...
Se è davvero come dici tu, è DAVVERO una grande occasione mancata.
Luigi, purtroppo non tutte le ciambelle riescono col buco (peccato. Comunque gettaci un occhio se ti capita: l'ambientazione c'è tutta, e il loro mestiere gli attori lo sanno fare...)
Peccato davvero. Da vedere, dunque, ma pensando a quanto bello sarebbe potuto essere se...
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