Splendida pellicola del 1963 firmata dal regista Martin Ritt, Hud il selvaggio è tratto da questo fantastico libro ed interpretato da un Paul Newman in assoluto stato di grazia. Il suo personaggio è un calibratissimo esempio di rabbia indomabile e prepotenza vanesia, ma l'intero cast che lo circonda offre una prova di assoluto valore per un lungometraggio capace d'imbastire un veritiero spaccato della provincia americana - con tutto il suo portato di praterie sconfinate e giorni fotocopia.
Siamo nel Texas, in un ranch animato da un padre-patriarca legato ai valori della frontiera, il figlio ribelle e narciso (Newman, ça va sans dire) e il loro nipote diciassettenne (Brandon DeWilde) diviso tra l'ammirazione per lo zio e l'affetto per il nonno. Tra i due giovani maschi di casa s'inserisce Patricia Neal, la disincantata governante che li ha visti crescere ma che è ancora capace di essere attrattiva: entrambi i cowboys ne anelano le grazie, ma in maniera completamente diversa. Il duetto/duello tra l'intensa e spigolosa Neal (premiata non a caso con l'Oscar) e il baldanzoso Newman è l’asse drammatico sul quale si regge la storia e trasmette allo spettatore una tensione continua (finirà male, in un tentato stupro). Fotografato in maniera divina (il magnifico bianconero di James Wong Howe meriterà anch'esso una statuetta, ma l'Academy premiò giustamente anche M. Douglas nel ruolo del vecchio mandriano), il film regala con sincero trasporto un'ambientazione perfetta alla vicenda, inserendola in un nulla periferico fuori dal tempo che, non fosse per la presenza della cadillac di Hud, potremmo tranquillamente scambiare per l'Ovest di fine '800.
E poi c'è l'ombra di Cechov, che attraversa i conflitti affettivi che i protagonisti sembrano aggrovigliare tra loro senza riuscire a trovare mai il bandolo della matassa. Alla fine, morto il vecchio e presa la strada il giovanissimo, il cinico e opportunista Hud (ma quanto sapeva essere bravo Newman?) rimane nel ranch a sorbirsi una birra assaporando il retrogusto amaro della propria (opprimente) solitudine. Fantastico!
Siamo nel Texas, in un ranch animato da un padre-patriarca legato ai valori della frontiera, il figlio ribelle e narciso (Newman, ça va sans dire) e il loro nipote diciassettenne (Brandon DeWilde) diviso tra l'ammirazione per lo zio e l'affetto per il nonno. Tra i due giovani maschi di casa s'inserisce Patricia Neal, la disincantata governante che li ha visti crescere ma che è ancora capace di essere attrattiva: entrambi i cowboys ne anelano le grazie, ma in maniera completamente diversa. Il duetto/duello tra l'intensa e spigolosa Neal (premiata non a caso con l'Oscar) e il baldanzoso Newman è l’asse drammatico sul quale si regge la storia e trasmette allo spettatore una tensione continua (finirà male, in un tentato stupro). Fotografato in maniera divina (il magnifico bianconero di James Wong Howe meriterà anch'esso una statuetta, ma l'Academy premiò giustamente anche M. Douglas nel ruolo del vecchio mandriano), il film regala con sincero trasporto un'ambientazione perfetta alla vicenda, inserendola in un nulla periferico fuori dal tempo che, non fosse per la presenza della cadillac di Hud, potremmo tranquillamente scambiare per l'Ovest di fine '800.
E poi c'è l'ombra di Cechov, che attraversa i conflitti affettivi che i protagonisti sembrano aggrovigliare tra loro senza riuscire a trovare mai il bandolo della matassa. Alla fine, morto il vecchio e presa la strada il giovanissimo, il cinico e opportunista Hud (ma quanto sapeva essere bravo Newman?) rimane nel ranch a sorbirsi una birra assaporando il retrogusto amaro della propria (opprimente) solitudine. Fantastico!
2 commenti:
Quando ero ragazzina mi sono vista tutti i film di Paul Newman, anche "Missili in giardino". E' stato il mio secondo amore di celluloide (il primo, catodico, era Joe Sentieri).
Mi sono anche fatta comprare le sue salse dall'America, pensa te.
@Annalisa: io considero LO SPACCONE uno dei migliori film (e romanzi) di sempre e la bellezza di Newman in quel film (ma anche in tutti quelli realizzati nel medesimo periodo, come questo) è una cosa che sorvola ogni canone umano: secondo me era un semidio, ecco! (e tutta la beneficenza - vera e non a scopo di marketing come usa Hollywood ultimamente - fatta in vita dall'uomo ne è testimonianza)
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