Da qualche parte nel commentarium avevamo promesso una recensione circa 22/11/63 di Stephen King, splendido libro da annoverare sicuramente tra le cose migliori del «Re» (e ne ha scritte davvero tante, il «Re», di cose migliori, nessun dubbio al riguardo), ma non ce n'è ancora stata occasione (il tempo è tiranno e le cose da fare sempre migliaia). Vi segnaliamo nel frattempo l'arguta lettura fattane dallo scrittore nostrano Tommaso Pincio sul suo sito/diario.
«Lasciamo dunque che gli attori vengano introdotti in modo placido; osserviamoli mentre si dedicano alle normali attività d’ogni giorno, non funestati da presentimento alcuno, contenti del mondo in cui vivono; e nella calma di questo ambiente, lasciamo che l’elemento sinistro faccia capolino, dapprima inavvertito e quindi con maggior virulenza, fino al possesso completo della scena». Questa ricetta per la costruzione di una buona ghost story, fornita da Montague Rodhes James nella sua prefazione all’antologia Ghosts and Marvels, non deve essere ignota a Stephen King, se è vero, come molti a ragione sostengono, che la parte migliore dei suoi romanzi va cercata nella fase iniziale, quella in cui si prepara il terreno all’azione, la quiete che anticipa la tempesta, quando l’elemento sinistro non si è ancora manifestato e nulla sembra accadere, a parte il banale fluire della vita quotidiana. Il suo ultimo romanzo, ottimamente tradotto da Wu Ming 1, presenta tuttavia una particolarità non da poco: non ha nulla a che vedere con l’orrore. Lo si potrebbe forse rubricare nella fantascienza, visto che si parla di viaggi nel tempo. Ma il modo in cui se ne parla, un modo più fantastico che scientifico, con marginali e fuligginosi accenni alla teoria delle stringe (peraltro già fuligginosa di suo), lo riconduce nell’alveo della ghost story, seppure di una natura molto speciale. Quale sia questo fantasma è indicato nel titolo: 22/11/’63. Una data nuda e cruda che non necessita di troppe spiegazioni, giacché evoca all’istante sia uno degli eventi più tragici della storia americana, sia le sue molte ricostruzioni, così come si sono succedute negli anni; le indagini, le speculazioni. Insomma, il fantasma è l’assassinio di John F. Kennedy e ciò che seguì: i complotti, le paranoie, il tramonto brusco di un’epoca e l’alba oscura di un’altra, il convincimento (probabilmente illusorio) che senza quell’infausto 22 novembre di Dallas, l’America avrebbe conosciuto un futuro migliore, fatto di minori tensioni e con meno scontri, meno morti, meno Vietnam.»
(continua sul sito di Pincio)
(continua sul sito di Pincio)
2 commenti:
He, a parte che aspetto di sapere le TUE impressioni. Sono andato sul sito di Pincio e mi sono inchiodato sul suo posta dedicato a Barry Gifford, uno dei miei scrittori preferiti, che ho cominciato a leggere proprio con "Port Tropique", il suo libro più bello (insieme a "Wyoming").
E tutto questo con il King planetario che ci azzecca? Niente. Come dicevo su, aspetto le tue riflessioni a caldo sulla lettura della sua ultima fatica.
@Luigi, conto di scriverne appena posso (il libro merita una riflessione seria, non un copia-incolla della 4° di copertina) ma intanto te lo consiglio vivamente, non so se sei un amante di King ma qui c'è quello migliore...
Su Pincio concordo, anche io ci trovo sempre cose incredibili sul suo sito e trovo abbia una capacità di "entrare" nelle cose letterarie che è un unicum nel panorama critico italiano...
(Tomma' mi devi un caffé;-)
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