«Questa nave trasporta granaglie, comunissime, banali, vili granaglie. Assai più mi piacerebbe comandare una nave carica di spezie esotiche dai nomi favolosi, cardamomo, nepente, issopo, ipecacuana, o di piante medicinali familiari ai monaci dei nostri conventi, ma dai nomi ancor più misteriosi ai profani, melissa giusquiamo estragone, dulcamara madreselva laudano... oppure vorrei un carico di stoffe pregiate, non per il loro valore ma per la magia che fin da bambino avvertivo in quei suoni, parole come paesi lontani, zendado, broccato, damaschino, taftà... o legni, di quelli rari, odorosi, per gli ebanisti e gli intarsiatori, che ne traggano stipi e colonnine tortili, o astucci, o piccoli scrigni fragranti per signora, il sandalo, l’eucalipto, il cedro, la tuia... Anche le armi antiche hanno bei nomi, brandistocco archibalista mazzafrusto flamberga... Cosa portate, capitano Torquemada? Oh niente, ipecacuana, broccati, assicelle di cedro, una flamberga per il duca di Osuna, un po’ di estragone, ah! poterlo dire una volta, e finalmente morire».
La stiva e l’abisso - Michele Mari (Ed. Einaudi)
2 commenti:
Mari merita sempre...
A.
@A: Mari rulez!!!!
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