Oggi di corsa, giusto il tempo di segnalare un interessante intervento di Pietro Minto sulla storia delle risate finte e di Charles Douglass, l’uomo che per primo nel 1953 inventò la macchina per crearle
«Charles Rolland Douglass faceva ridere tutti. Sul serio. Non che fosse una persona particolarmente spassosa – se ne sa poco e quel poco non è esilarante – ma è a lui che dobbiamo molte delle risate che abbiamo fatto o sentito fare. Douglass, infatti, è l’inventore della Laff Box, lo strumento con cui per decenni i network televisivi hanno aggiunto risate e applausi registrati ai loro show. La tecnologia aveva l’obiettivo di risolvere un problema vecchio come il concetto di spettacolo: il rapporto tra palco e platea. Già ai tempi di Shakespeare le mancate risa e applausi del pubblico venivano sofferti da autori e produttori. Alcuni teatri londinesi utilizzavano degli “scaldapubblico” per guidare il pubblico tra i momenti divertenti come delle strane prefiche al contrario.
Durante il Novecento, i nuovi mass media resero tutto più complicato poiché il palco divenne lo studio radiotelevisivo e la platea si fece impalpabile e personale (uno schermo, un pubblico), diffusa su tutto il Paese e poi il mondo intero. Hai voglia a disseminare scaldapubblico in ogni tinello della nazione. Serviva qualcos’altro, un’idea nuova. Il problema si poneva con intensità inedita nel caso della televisione, nuovo giocattolo mondiale che stava cambiando usi e costumi delle famiglie. Qui i programmi comici cominciarono a conoscere i famigerati “tempi televisivi” e a cozzare con il formato live. Il pubblico, infatti, spesso rideva troppo o troppo poco, scompostamente, costringendo gli attori a modificare il ritmo delle battute, ad assecondare il riso con qualche secondo di silenzio, allungando gli show e rovinando il ritmo narrativo. E poi gli errori: ogni nuova prova prevedeva la ripetizione delle stesse battute, che dopo qualche take consumavano la loro carica comica, strappando risate sempre più a denti stretti. Un dramma, quest’ultimo, soprattutto per gli autori che vedevano la battuta più forte dell’intera stagione “bruciata” da una risatina strappata con le tenaglie, e solo perché gli attori l’avevano dovuto provare molte volte.» [continua qui]
4 commenti:
La macchina delle risate risale al 1953,Umberto Eco dieci anni dopo scrive nel suo "Diario Minimo" che "Quello che esce indenne dal riso è valido. Quello che crolla doveva morire", ma lui parlava della serietà delle cose...
E' tanta la paura che la gente non rida alle battute di sceneggiatori mediocri o di mediocri attori, che il grande inganno della televisione ha avuto la necessità di fingere nella finzione. Noi ascoltiamo le finte risate e il loro contagio subliminale ci condiziona. Forse sarebbe il caso di inserire queste tristi risate anche nelle trasmissioni d'informazione, così per narcotizzarci un po' rispetto alla dura realtà.
Sssssssh...che se ci ascoltano potrebbero anche provarci...
@Zenone, convengo con la tua amara disamina, e il pezzo segnalato in fondo parla anche di questo... certo, ormai abbiamo esaurito le risate e comincio a sopsettare ci sia rimasto solo un ghigno amorfo da spendere;-(
Questo è un vostro problema perché:
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi,
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.”
(David Webb, sceneggiatore di "Blade Runner")
grandissimo Webb! :-)
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