Dopo un godibilissimo primo capitolo che era una bella variazione di Non aprite quella porta realizzato sotto l’egida produttiva del compianto mago degli effetti speciali Stan Winston, un secondo capitolo così-così con una simpatica digressione da reality-show e un recente (e dimenticabile) terzo episodio, i rednecks deformi di Wrong Turn tornano alle origini dell’orrore con una sorta di prequel: Wrong Turn 4 - Bloody Beginnigs. Al posto dei boschi a cui le diverse produzioni ci avevano abituati si opta stavolta per un’ambientazione invernale e innevata che inchiavarda lo svolgimento della vicenda quasi interamente all’interno di un vecchio manicomio criminale. Il solito manipolo di teenagers testosteronici (qui però c’è la novità di una coppia di lesbiche che si esibisce in patinati siparietti soft-core) parte per un fine settimana da trascorrere nello chalet di un amico. Si spostano a bordo di veloci gatti delle nevi, ma come da manuale in questi casi si perdono e finiscono nel bel mezzo di una tormenta, per salvarsi dalla quale il gruppo si rifugia in un sinistro edificio che ben presto si rivelerà essere un ospedale psichiatrico abbandonato: il luogo dove tutto ha avuto inizio!
L'estrema tormenta di neve costituisce per il cineasta Declan O’Brien (specializzato in film per la tv, suo il beast-movie Sharktopus) il refrain su cui si regge l'isolamento totale dell'edificio (nonché un notevole risparmio di set: la pellicola è interamente o quasi srotolata tra le quattro mura del maniero), ma la povertà dei mezzi getta in vacca anche qualche buona intuizione scenica e la visione si fa sin dai primi minuti lenta e faticosa. Ad un make-up che si vorrebbe all'antica - e che invece risulta solo dilettantesco e miserrimo - si accompagnano numerosi errori di script e una recitazione da cinodromo, con dialoghi davvero risibili e assurdi («sarà ancora vivo?» si chiedono tre dei ragazzi sapendo che un loro compagno è nelle mani dei cannibali, e subito dalla stanza del macello il compagno grida «aiutooo, sono ancora vivo, ma vorrei morire!»). Ogni tanto si intravede qualche attrezzista di scena far capolino nell'inquadratura (incredibile!) e il gradiente di non-sense nella trama talvolta tocca livelli intollerabili. Insomma, nessuna traccia di quel divertimento cafone che pure sovente accompagna pellicole di questa genia, facendone veri guilty-pleasures. Una eminente minchiata da condannare senza appello, purtroppo!
3 commenti:
Una brutta minchiata.
Aaah be'... allora preferisco rimanere col piacevole ricordo del primo, l'unico dei quattro che ho visto, e che in effetti mi sorprese piacevolmente quando invece mi aspettavo solo l'ennesima boiata. Consìgliolo!
peccato perché a me 'ste robe fatte coi soldini della gazzosa mi divertono sempre, ma non si può difendere l'indifendibile ;-)
Posta un commento