Non c'è dubbio che alcune biografie andrebbero studiate a scuola, soprattutto quelle dei grandi personaggi che hanno fatto la Storia. Ma quando si tratta di scrittori, una biografia, soprattutto se scritta dall'autore medesimo, può risultare un'arma a doppio taglio: abili manipolatori di parole per mestiere, sovente gli scrittori quando affrontano le proprie memorie finiscono per divagare, abbellire, stemperare, nascondere e talvolta - supremo delitto! - addirittura annoiare. Fortunatamente niente di tutto questo è riscontrabile nelle folgoranti pagine di Stanze Nascoste, auto-biografia del 1992 di Derek Raymond, al secolo Robin Cook, uno dei più grandi noiristi britannici, inventore della «metafisica del thriller» e autore in grado di far respirare nei propri libri l'odore più vero del sangue e della crudeltà umana. E Stanze Nascoste svela anzitutto da dove derivi, tanta straordinaria capacità di affondare lo stiletto nel cuore pulsante della tenebra più cupa, raccontando ad esempio la moltitudine di mestieri in cui l'autore si è prodigato in vita nel tentativo coatto di affrancarsi dalle origini aristocratiche della famiglia. E così sono davvero succulente le porzioni del volume dedicate alla vendita di macchine usate nei bassifondi della suburra o alle avventure notturne nelle vesti di taxista in una Londra nerissima e sulfurea che poi sarà lo sfondo di tutti i suoi più conosciuti romanzi (in particolare del ciclo della Factory, nomignolo sotto il quale gli inglesi pare definiscano genericamente i distretti di polizia). Ma sono incisivi anche gli episodi inerenti alla guerra, all'attività di poeta, allo spaccio di materiale pornografico, alla compulsiva frequentazione dei bar malfamati di mezza Europa e via così in una variegata e composita struttura che non cede mai, soprattutto perché - e questo il surplus che da semplice racconto in retrospettiva di un bohemienne eleva Stanze Nascoste al rango di piccolo saggio destinato anche a chiunque abbia velleità scrittoriali - diluita nella frammentazione dei ricordi emerge potente la concezione della letteratura di Raymond, una vera e propria poetica del «genere» che non si perita di scomodare numi tutelari altissimi (Shakespeare, per il nostro, sarebbe stato ad esempio il più grande giallista della Storia) arrivando a definire con chirurgica freddezza le proprie, personalissime verità d'autore: «la letteratura aiuta a rendere comprensibile il dolore», oppure: «screditata la religione, il noir è una sorta di rinnovato sforzo per colmare il vuoto descrivendo apertamente ciò che fa male alle persone»; ed anche: «la frase perfetta è come una bella donna, che indossa l'unico vestito giusto per lei in quel momento e solo una goccia di profumo, niente di superfluo, e lo sguardo che ha mentre attraversa una stanza in penombra è solo per te»; sino alla più pregnante: «lo scopo del noir è mostrare tutta la merda che lo Stato, come una vecchia domestica isterica, cerca costantemente di nascondere sotto il tappeto. Il noir solleva il tappeto davanti al maggior numero di gente possibile dicendo: "Non pensate anche voi che qua sotto ci sia una gran puzza di merda?"». Piccole chicche che aiutano a capire quanto struggimento si celi dietro a un buon romanzo, e quanto le etichette siano spesso solo le pesanti lenti trifocali con cui la critica ufficiale cerca di lenire la propria miopia.
Stanze Nascoste
Derek Raymond (Ed. Meridiano Zero)
3 commenti:
Come capita a volte, anche un viso interessante, che già da solo racconta. E davvero belle le citazioni, soprattutto le ultime.
E' proprio così che ci si sente dopo aver letto certi noir (e sempre meno capaci di dirsi: be', tanto è solo un libro...)
Ah, Annalisa, sul volto rugoso e duro di Derek Raymond ci sarebbe da scrivere un libro a parte... gran bella faccia!!!
@uniroma.tv
grazie per la segnalazione, ragazzi...
vi seguirò con attenzione
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