A 15 anni dal debutto con Boxing Helena (un film che le fece guadagnare secchiate di sberleffi in tutto il mondo, forse un po' ingiustamente), Jennifer Lynch nel 2008 è tornata dietro la macchina da presa per firmare questo torbido thriller che dapprima a Cannes e poi al festival di Sitges dello stesso anno destò notevole stupore e ammirazione per poi andare a ingrossare la fitta teppaglia di pellicole-meteore pronte per l'home-video (quaggiù da noi al momento non si capisce se verrà mai distribuito). Ed è un peccato, perché Surveillance possiede una sua, originalissima forza.
Figlia di cotanto padre, la Lynch mira con tutta evidenza a provocare lo shock nello spettatore, senza intermediazioni né sconti. Per farlo ha costruito un'opera spesso disturbante le cui coordinate sono definite attraverso l'escamotage dell'interrogatorio (alla maniera di Rashomon, per intenderci): grazie al racconto separato di tre testimoni ripercorriamo i momenti salienti di un delitto efferatissimo - l'uccisione di una coppia nella propria camera da letto - che è solo l’ultimo di una catena d’omicidi che sta terrorizzando una tranquilla zona nei pressi del deserto di Santa Fe.
Lungo una highway sterminata - che immediatamente riporta alla memoria il classico The Hitcher - tre vetture incrociano il loro destino con quello d'una coppia di killer seriali. La prima macchina è una pattuglia con due sbirri di provincia un po' cazzoni, poliziotti di mezza tacca che tramortiscono la noia sparando sulle gomme degli automobilisti di passaggio per poi andarli a molestare. La seconda è una coppia di giovani scombinati che razzolano on the road apparentemente senza meta bruciandosi il cervello con ogni tipo di stupefacente, mentre la terza è una tipica famiglia moderna in vacanza (madre e patrigno coi figli acquisiti) col suo bravo carico di tensioni taciute. Srotolando il racconto che i sopravvissuti fanno a due serissimi agenti dell'FBI, comprendiamo la dinamica degli eventi in un susseguirsi di colpi di scena (che però avvengono a passo lento, vere e proprie staffilate di adrenalina che esplodono in una magistrale sordina).
Visivamente parlando la regista sa come ammaliare: grazie ad un sapiente uso di grandangoli e una fotografia ora tersa ora sgranata inocula in chi guarda un'inquietante atmosfera da noir perverso che sicuramente omaggia la poetica del perturbante cara al più celebre genitore, e anzi, questa pellicola della Lynch probabilmente trae la propria indubbia forza nelle dichiarate influenze paterne: a partire dal cast le citazioni di famiglia sono chiare sino allo scippo con l'utilizzo di un Bill Pullman invasato e una spigolosa Julia Ormond, perfetti nel ruolo degli agenti venuti ad indagare; ma anche lo scenario in cui i fatti sono immersi paiono pescare ora dai panorami desolati di Una Storia Vera ora dalla cupa periferia di Twin Peaks (la Lynch fu autrice tra l'altro proprio de Il diario segreto di Laura Palmer); e si possono ravvisare echi di Strade Perdute un po' ovunque, soprattutto nella follia dei maniaci (paurose le maschere in lattice indossate) e nel cinismo che agita le (in)coscienze dei pochi personaggi in gioco. Colpisce lo stomaco, ma lo fa in maniera appassionante. (lo abbiamo visto dopo averne letto qui)
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