Con qualche inverno in meno rispetto al più noto John Woo, l'honkonghese Johnnie To ci consegna con Vendicami (2009) un noir teso e laccatissimo che non delude i fan del genere (né del regista, che sono una legione!) e regala momenti di raffinata bellezza anche quando, purtroppo, la trama s'inceppa e comincia a imbarcare acqua da tutte le parti. Killer a riposo che sbarca abbondantemente il lunario facendo il cuoco (no, non è lo Steven Seagal di Trappola in alto mare: questo veste sempre di scuro e si chiama Costello in omaggio al padre di tutti i sicari filmici francesi), cerca i responsabili dello sterminio della famiglia della figlia a Macao, catapultandosi in una Honk Kong illuminata dai mille neon dei casinò gestiti dalle «triadi» cui una pioggia stizzosa non concede un'attimo di tregua. To pare desiderasse che il suo protagonista fosse Alain Delon proprio per rifarsi alla pellicola-cardine dell'intero polar europeo: quel Frank Costello faccia d'angelo (1967) che la suprema mano di Jean-Pierre Melville ha reso immortale, ma dopo (l'incomprensibile?) rifiuto della star si è dovuto accontentare del divo del rock gallico Johnny Hallyday (gran belle rughe già prestate al cinema del medesimo filone con L'uomo del treno: ma Delon avrebbe forse aggiunto alla pellicola un quid di nostalgia in più), che tra una sparatoria coreografica e un inseguimento mozzafiato fa amicizia con tre ceffi cazzutissimi già visti nel cinema del regista di The Mission e Linger (tra loro Anthony Wong, in patria un vero mito). Vendicami rappresenta la punta più elevata d'una trilogia ferocemente lirica che non disdegna fiotti di sangue color fragola, balletti di uomini incravattati che sputano pallottole al ralenti indossando occhiali da sole pure di notte, un montaggio irrefrenabile sospeso di continuo tra passato e presente, e poi melodie western, ironia sardonica e cameratismo immediato tra pistoleri (quest'ultimo francamente non troppo plausibile). Un proiettile conficcato anni prima nella testa del vendicatore gli cancella la memoria e quindi il film presta bordone al quesito filosofico sul senso della vendetta una volta che non ci sono più i ricordi, ma la storia di un ex gangster che torna alla violenza per vendicare il proprio DNA risulta fin troppo abusata, così come lo stratagemma cui ricorre l'eroe per ricordarsi di cose e persone (scatta continuamente polaroid: se questo non è un saccheggio coatto da Memento!) e pertanto anche gli omaggi riguardosi al Grande Cinema dell'epica action - da Sergio Leone a Don Siegel e Sam Peckinpah - sembrano istantanee gettate lì un po' aggratìs, e l'idolo di Quentin Tarantino si ritrova a raggrumare, mescolare e centrifugare di tutto un po' per partorire infine una sorta di opera-Frankenstein densa sì di citazioni celebri ma povera di empatia (errore in cui incappa troppo spesso, a modesto parere di chi scrive, anche il bravo Quintino). Resta una fotografia assolutamente splendida, una concezione cinematografica del noir assai «arty» che colpisce lasciando ammirati, e l'espressione glaciale e pietrosa di un Hallyday indurito dalla vita e ridotto a una maschera dolente.
6 commenti:
Mi hai fatto ricordare il viso di John Hallyday, ormai messo in un canto della memoria.
Ma soprattutto (e a proposito) hai citato un film che mi aveva colpito assai, e ormai sono diventata abilissima, dopo le tue recensioni, a scovare cose a prezzi stracciati che mi arrivano a casa in pochi giorni senza spese di spedizione o quasi.
Riuscirò finalmente a rivedere "Memento".
Figo, Mememto, da anni sto cercando il racconto del fratello del regista da cui è tratto, ma non si trova in Italia - e leggerlo in lingua mi sa che non sono proprio bravissimo :-)
Vedo che dopo la mia segnalazione sei corso ai ripari:-)) Ciao grande.
certo, Fab, però come vedi sono un po' critico con Johnnie To - il ragazzo s'impegna ma potrebbe rendere di più :-)
Io sono rimasto incantato dalla potenza visionaria e dal rimescolìo di carte-genere, a partire dai semi di mano "noir" e "western".
Una sorprendente esperienza estetica e ludica che me l'ha fatto apprezzare acriticamente, ma ora - a distanza di mesi - non posso non concordare con molte delle tue osservazioni
@emo: grazie, comunque - difetti a parte - nessun cinefilo sano di mente potrebbe dire che non è un'estasi per gli occhi :-)
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