«Leonard ruotò su sé stesso e si udì uno sparo e tutto quanto si illuminò per un attimo e una pallottola sibilò in aria e andò a conficcarsi nella parete. Lo vidi muoversi, Leonard, e attraversare la stanza con la rapidità di una freccia. Al suo mulinare la mazza, udii l’aria spaccarsi in due. Dall’ombra, l’arma esplose un secondo colpo. Feci un salto, precipitandomi all’interno della stanza, anche se era l’ultima cosa che avrei voluto.
Leonard aveva inchiodato qualcuno a terra, nell’angolo, e continuava a menare fendenti con la mazza. La sua vittima attaccò a gridare, e io sentii un movimento alle mie spalle. Mi voltai appena in tempo per scorgere un gigantesco nero in mutande che riempiva l’intero vano della porta e che poi entrava brandendo un coltello per canne da zucchero, mentre la luna gli metteva in risalto un’espressione non certo di buonumore.
Il bestione alzò il coltello e stavolta fui io a mulinare la mazza, beccandolo allo stinco. Lui mollò un grido, barcollando. Lo colpii di nuovo, adesso su un fianco. Al suo grugnito seguì il rumore del coltello che cadeva ai miei piedi, e che allontanai subito con un calcio, spedendolo tra le ombre.
Udii Leonard calare la mazza con forza. «Che ne dici, eh?»
Ma avevo le mie faccende da sbrigare. Il gigante tentò di rialzarsi, e lo colpii su quell’enorme schiena. Lui tornò a grugnire e riuscì comunque a rimettersi in piedi. Allora mirai alla rotula. Andò giù con un urlo, rotolandosi sul pavimento col ginocchio tra le mani. E anche la sua ombra finì per rotolare lungo il muro assieme a lui.»
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