Sono davvero numerosi gli elementi che concorrono a rendere Invito a cena con delitto (Murder by death), pellicola licenziata da Robert Moore nel 1976, un'inossidabile pietra miliare del cinema brillante. A partire dai titoli di testa opera di Charles «Chaz» Addams: l'originalissimo stile macabro dell'osannato vignettista satirico del New Yorker (nonché creatore della funerea famiglia omonima e amico personale di William Burroughs e Allen Ginsberg), ci introduce in una vicenda assolutamente deliziosa che prende di petto gli stereotipi del giallo classico per farne una parodia arguta ed esilarante. Neil Simon, commediografo statunitense cui si devono altri gioielli come La strana coppia, qui in veste di soggettista, ha saputo trasformare i rigidi codici del genere in una partitura comica e raffinata, convocando nella storia - secondo una procedura che si rifà a Dieci piccoli indiani - i cinque investigatori più famosi del mondo per un week-end col morto in una casa sconosciuta. Questi personaggi, ciascuno introdotto con siparietti da applauso e interpretati da un parco-attori che da solo rende l'intero progetto un esercizio memorabile, sono la smaccata caricatura dei più famosi detective letterari: Sidney Wang (Peter Sellers: una certezza!) è Charlie Chan; Dick e Dora Charleston (un elegantissimo David Niven e una divina Maggie Smith, trent'anni prima di Harry Potter) sono Nick e Nora Charles; il baffuto Milo Perrier, di nazionalità belga, è Hercule Poirot; Sam Diamante (Peter Falk sempre più sbattuto e bravissimo) è un incrocio fra Sam Spade e Richard Diamond; Jessica Marbles (Elsa Lechester, una vera istituzione poiché era La moglie di Frankenstein negli anni Trenta) è Miss Marple. Ognuno coi propri tic, ognuno col proprio metodo d'indagine strampalato e inintellegibile. Intanto fioccano i cadaveri. Al gioco si unisce un Alec Guinness davvero in forma nella parte del maggiordomo non-vedente (semplicemente strepitoso) e un autoironico Truman Capote, nella sua unica apparizione cinematografica. Il film meriterebbe la visione solo per la geniale trovata della cameriera muta che, di fronte a un cadavere, si mette a strillare senza proferire alcun suono. Onore e merito al doppiaggio italiano, che insegue con determinazione (senza però raggiungere le vette sublimi di quello di Frankestein Junior) gli infiniti e spumeggianti calembour dei dialoghi.
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