Koba il terribile è un libro che narra dei crimini di Stalin, dell'orrore conosciuto nella prima metà del XX secolo dalla popolazione rurale sovietica, dei tentativi del dittatore sanguinario di riscrivere la storia e la cultura d'un intero popolo. Ma è un soprattutto un libro che s'interroga - dati alla mano - sui motivi che hanno condotto un foltissimo gruppo di persone a rimuovere dalle proprie coscienze l'enorme gravità dei crimini stalinisti (purghe, torture, gulag, delazione e cannibalismo: un saldo di 20 milioni di morti): perchè l'opinione comune non attribuisce loro la stessa gravità di una tragedia contemporanea come quella del nazismo (6 milioni di morti)? Martin Amis - eccelso scrittore britannico, assurto per i suoi eccessi a vera star in patria - non si spreca in un'inutile conta dei morti, cercando piuttosto di sviscerare il problema a partire dallo scandaglio dei fatti e dall'analisi delle fonti dirette; ma lo fa non come storico, né come romanziere, bensì in veste di figlio di un esponente del partito comunista inglese negli anni Quaranta, quel Kingsley Amis romanziere di successo che in seguito rinnegò (e astiosamente) la propria ideologia comunista. Amis si chiede come mai molti intellettuali ora sorridano della loro infatuazione per il regime stalinista, in un modo che nessun vetero-nazista si permetterebbe. È questa la risposta che gli preme trovare nelle pagine di un libro-diario in cui al racconto degli orrori compiuti in Russia si alternano ricordi personali di vita domestica per un'opera che rifugge dall'assumere i contorni d'un pamphlet politico, preferendo diluire la (psico)analisi in un esame di coscienza dai risvolti polemici.
Già in Esperienza (2000) l'autore aveva stappato la bottiglia della memoria ricostruendo la propria formazione e la conseguente metamorfosi da Osric (una "zanzarina" dai modi "compiaciuti ed affettati") ad Amleto. All'ombra della rimembranza, Amis ingaggia anche qui un duello con l'esperienza (la "triste nemica") in una terra desolata di "fuoco e cenere" funestata da perdite gravi: la scomparsa del padre (che era l'"intercessore", la figura che si erge "tra il figlio e la morte") e la tragedia collettiva dei "venti milioni di morti" vittime del totalitarismo terrorista. Nel secolo delle ideologie "assassine", infatti, il "crollo del valore della vita umana" non ha impedito a Kingsley Amis (per un quindicennio a partire dal 1941) e alla "nuova sinistra" sessantottarda di credere nella "giocosa messinscena" della rivoluzione mondiale guidata dalle due avanguardie redentrici: il proletariato e l'intelligencija. Koba il Terribile è pertanto una sorta di "simposio" di spettri in preda a una "sbronza spirituale", un macabro festino organizzato da dottrinari vittima delle proprie nevrosi. Tra spleen e riflessioni sui massimi sistemi, protagonisti della notte delle streghe del comunismo sono il fantasma di Kingsley (che in vita nutriva un "amore intramontabile" per i simposi e le "discussioni conviviali") e gli spettri dei due tiranni dottrinari: Lenin (con la sua ridicola immortalità imbalsamata) e Stalin (l'omuncolo insicuro, paranoico ed ignorante che in gioventù aveva scelto lo pseudonimo di Koba, il fuorilegge amico del popolo protagonista del romanzo Il parricida di Aleksandr Kezbegi). «Sapevo che avremmo finito per trovarli, gli uomini nuovi - conclude l’autore - Eccoli, picchiati, picchiati e ancora picchiati, a quattro zampe a ringhiare come cani, scalciandosi e mordendosi l’un l’altro per una manciata di rifiuti putrescenti. Eccoli.» Lettura stimolante.
Koba il terribile - Martin Amis (Ed. Einaudi)
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