venerdì 16 luglio 2010

La voce collettiva di John Reddy Heart...

Joyce Carol Oates è una scrittrice per la quale spendere la parola "geniale" ha sicuramente un senso. Ha vinto una fiumata di premi, dirige una importante rivista letteraria dell'Ontario e insegna scrittura creativa a Princeton. Più volte - come Philip Roth, autore con cui condivide parecchio del cinismo caratteristico di tanta narrativa statunitense contemporanea - è andata vicinissima al Nobel (e forse il fatto di non averlo ancora vinto le fa più onore che disdoro). Nelle nostre lande non è esageratamente popolare, non come in patria almeno, ma è una scrittrice della quale, una volta incontrata l'opera, ci si innamora con scioltezza. Ed è semplicemente impossibile, per chiunque accarezzi la vocazione di scrivere, prescindere dalle lezioni di quest'autrice davvero proteiforme, in grado di gestire la sua vena lirica con un diapason mai scontato di ironia/dramma/fabula e che nella sua lunga carriera si è più volte occupata di quella darkest America cui si ispirarono tutti i nomi di grosso calibro della letteratura d'oltreoceano (da Faulkner alla O'Connor). Quasi imbarazzante la quantità delle sue produzioni: sono tonnellate di saggi d'un acume rarissimo, reportage che costruiscono un panorama composito e variegato (si va da incursioni nello sport a visite ai territori cari a Stephen King) - e sono romanzi di ogni misura e respiro, dal fulminante Acqua nera a Bestie al colossale Blonde. La Oates ha questa straordinaria capacità di entrare nelle storie, anche e sopratutto quando sono storie vere, per scompigliarle con il suo inquietante e nerissimo appeal: si tratti dell'icona Marilyn Monroe o del senatore Ted Kennedy (o di Mike Tyson nel fantastico, piccolo gioiello a lui dedicato) la figura storica ne esce di volta in volta modificata, riveduta attraverso un'ottica che riesce a infonderle nuova luce.
La ballata John Reddy Hearth è uno dei suoi romanzi di finzione, edito da Marco Tropea Editore. Si racconta la storia di un ragazzino che piomba in un sobborgo di Buffalo, Willowsville, all’età di undici anni. È un bambino particolare, carismatico. John Reddy Heart diventa un punto di riferimento per i ragazzi e la popolazione di tutta Willowsville. Improvvisamente, a sedici anni, muore per un colpo di pistola di uno dei numerosi amanti della madre. Johnny diventa ancora di più un mito. E, come è giusto che sia, quando si ha a che fare con un mito, a raccontarlo non deve essere una voce esterna, ma la voce collettiva di chi di quel mito vive alimentandolo giorno per giorno. Un po’ come nelle Vergini suicide di Jeff Eugenides o nel racconto Fumo del sommo Faulkner, anche qui, a seguire le gesta del ragazzo è una voce collettiva, testimonianze di compagni, professori, amici e chiunque abbia seguito la storia di John Reddy Heart. In una parola: ipnotico!!!

Joyce Carol Oates
LA BALLATA DI JOHN REDDY HEART - (Marco Tropea Editore)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma J.R.Heart non muore!!!

Viene accusaro-ingiustamente- dell’uccisione dell’amante della madre, sconta la pena in carcere e non ritornerà più a Willoswille.
J.R.H., nonostante tutto, rimane un personaggio che brilla per la sua assenza e nella seconda parte del romanzo,quando la palla finalmente passa a lui ,si rivelerà, quasi con pudore, una figura tenera e tragica che vuole mantenere unita la famiglia a tutti i costi, si assume la responsabilità di un delitto non commesso, si reinventa continuamente la vita, rinuncia per amore alla donna che ama , un Mr. Tuttofare che non torna indietro perché ha l’esigenza di trasformare la propria forza nel proprio destino; insomma un uomo amabile, schivo e affidabile, lontano anni luce dalla figura di bel tenebroso/ maledetto percepito dagli abitanti di Willowsville.
Per anni i suoi compagni di scuola hanno fantasticato su di lui anche se, quasi alla fine del romanzo, dopo il raduno dei 30 anni – in una delle pagine più frizzanti, drammatiche, comiche e tristi – qualcuno di loro penserà che “Forse dopo trent’anni non aveva più importanza cosa fosse vero o meno, ma solo quello che si ricordava come vero” e un altro affermerà con amarezza che “ Non si perde quello che non si è mai avuto . Non si ha quel che non si è mai perso”.
Finale pirandelliano e un altro personaggio indimenticabile tratteggiato dalla prolifica, magnifica penna di Joyce Carol Oates.
Saluti e complimenti per i suoi romanzi che ho letto con vero piacere :)
silvia

sartoris ha detto...

Ciao Silvia, grazie per i complimenti, li apprezzo molto!

(J.R. non muore? Ho scritto il post molto tempo dopo aver letto il romanzo e francamente non ricordo con esattezza, però mi fido di te :-)
(e mi fido della Oates, soprattutto, le cui opere sono sempre gioielli di altissima rifinitura)

Anonimo ha detto...

Cercavo recensioni su questo libro che mia sorella mi ha prestato e ho (sono?)inciampato nel tuo blog.
Confermo che JOhnny non muore!
Walter

sartoris ha detto...

@walter: ok, avete vinto voi, Johnny muore, e che Iddio l'abbia in gloria! :-))