Un delinquentello che fredda i due commessi d'una banca del West Virginia e fugge col malloppo per poi farsi arrestare, meritandosi il patibolo; diecimila dollari scomparsi nel nulla e il segreto della loro ubicazione nelle esclusive mani del figlioletto del condannato a morte; un predicatore assassino-seriale con le scritte LOVE e HATE (amore e odio) tatuate sulle nocche che anela spasmodicamente al denaro, convinto di commettere crimini per conto dell'Altissimo; e poi ancora le lugubri filastrocche infantili, le ombre che si allungano sui costoni delle acque torbide, e il perbenismo ipocrita della gente inzuppato nell'afoso torpore del villaggio di Cresap's Landing, galvanizzato dalla fame e dall'avidità in un'epoca di crisi profonda come la Grande Depressione: questi e molti altri ancora gli elementi che rendono magistrale La morte corre sul fiume, strepitoso romanzo del 1953 di Davis Grubb per anni rubricato - con un certo sprezzo - alla voce «thriller» e che invece, inserendosi di prepotenza nella migliore tradizione southern-gothic, risulta molto di più che un giallaccio infarcito di futili richiami all'opera di Steinbeck: infatti, attraverso uno spericolato percorso fra i giunchi e le tife del fiume Ohio, questo libro ha la capacità di mettere a fuoco uno spaccato della provincia più rurale e puritana degli USA, una nazione forgiata dalla perpetua dicotomia tra peccato ed espiazione e dall'ambigua lotta tra bene e male. Modulata in un'affascinante barcamenarsi tra tempo reale e flashback, la narrazione passa dalla visione disincantata degli adulti e quella inconsapevole dei bambini (John e Pearl, i due veri protagonisti della storia) ed è quasi sempre in terza persona - ad esclusione di una porzione nel finale in cui il piccolo John si sostituisce al narratore esterno. La scrittura è impreziosita da uno stile moderno, ritmato e pregno di metafore che ben si adattano alla rappresentazione di una comunità perfettamente in simbiosi con i moti della natura lussureggiante che la circonda. Dal libro, tutto giocato sul nugolo di tensioni tra i personaggi che sottotraccia s'intersecano in un crescendo di suspense, venne tratto nel 1955 un altrettanto magnifico film a firma Charles Laughton, con Robert Mitchum e Shelley Winters protagonisti, una pellicola in grado di rendere in maniera sapiente l'humus espressionista su cui regge l'intera storia grazie ad un bianco e nero e ad una fotografia degni di Murneau, perfetti nel restituire il contrasto tra la serenità ancestrale della natura e il furore indemoniato della caccia e della fuga. Francamente inarrivabile poi l'interpretazione del Predicatore che ci regalò un grande Robert Mitchum, perfettamente a suo agio sia nelle vesti del predatore sia in quelle dell'agnellino, dell'uomo di Dio, il subdolo prestigiatore che srotola i suoi trucchi per incantare gli spettatori. Tra l'altro la figura del Predicatore alias Harry Powell, un villain davvero terrificante che anticipa di misura la pletora di serial-killer contemporanei, fu dichiaratamente ispirata da un personaggio reale: quell'Harry Powers passato alla storia della criminologia come «il Barbablù di Quiet Dell», impiccato nel 1932 a Moundsville per l'omicidio di due vedove e di un commesso viaggiatore.
La morte corre sul fiume – Davis Grubb (Ed. Adelphi)
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