Quinto film (e secondo western) per Clint Eastwood al di qua della macchina da presa, Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976) prende a pretesto la Guerra di Secessione per scandagliare il cruento universo di violenza in cui essa sorse e respirò. Josey Wales (un Eastwood meno sornione del solito ma sempre il solito cazzutissimo ammazzasette) è un contadino texano che l'esercito dei guerriglieri confederati accoglie tra le sue fila e che decide di non arrendersi ai vincitori yankee, preferendo darsi alla macchia con le pistole in pugno (come fecero in tanti anche nella realtà: il bandito Jesse James e la ghenga dello spietatissimo Quantrill su tutti). Ma oltre alla causa confederata c'è un movente personale, ad animare l'odio del protagonista della pellicola: nelle file dei nordisti vi è infatti anche Terril, militare bieco e assetato di potere colpevole di avergli massacrato, assieme alla sua volgare truppa, l'intera famiglia. Dopo aver messo a frutto col grandissimo Lo straniero senza nome gli insegnamenti europei (Sergio Leone in primis, ça va sans dire) Eastwood ritorna con afflato epico alla tradizione di John Ford: sfondo rigorosamente storico, una piccola ciurma di personaggi delineati come nei racconti di Bret Harte, folklore spruzzato con dovizia e un pizzico di sound popolare che non guasta mai. Il western della vendetta si intreccia con quello della caccia all’uomo con risultati a tratti interessanti (la figura del vecchio indiano civilizzato che sta perdendo il senso della propria identità) e qualche caduta di ritmo (il regista è ancora discontinuo e talvolta pecca di goffaggine narrativa). Però c'è già integro il corposo potere affabulatorio delle opere a venire (Pale Rider sarà di qualche anno successivo, e all'orizzonte si profila il gigantesco Gli spietati). Assolutamente valido e - come tutto il corpus d'opere di zio Clint, anche le marchettone scrause realizzate per pure ragioni alimentari - imprescindibile.
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